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Renzi, De Luca e gli investimenti esteri
Che la lentezza della giustizia civile sia un forte deterrente agli investimenti, ed in particolare quelli esteri, è ormai assodato non solo per gli addetti ai lavori ma anche per l’opinione pubblica. Circa un anno fa, per portare un esempio, un articolo del Wall Street Journal raccontava di un’azienda americana che ha deciso di non investire in uno stabilimento italiano sulla scorta di preoccupazioni circa i costi e tempi eccessivi che la salvaguardia dei propri brevetti avrebbe comportato in sede giurisdizionale italiana. E per la Banca Mondiale, l’Italia è al 147esimo posto su 189 paesi in quanto ad efficacia nel far rispettare i termini dei contratti tra soggetti privati.
Il punto è senz’altro acquisito anche dal governo, vista l’enfasi che il presidente del Consiglio e il Guardasigilli hanno posto sugli effetti di incentivo agli investimenti che si augurano sortiscano dalla riforma del processo civile approvata lo scorso autunno.
Tutto bene dunque? Not so fast, dicono gli americani. L’aleatorietà del quadro normativo e burocratico in cui le imprese investono ed operano in Italia non dipende solamente dall’inefficienza della funzione giurisdizionale. Il problema è ben più generale, avendo a che fare con la (in)certezza del diritto.
Nonostante i giuristi stessi preferiscano illustrazioni tra loro marginalmente diverse del concetto, penso che la totalità sia d’accordo con il World Justice Project, quando inserisce tra gli elementi definitori fondamentali il requisito che le leggi siano chiare, ben divulgate, stabili, giuste e applicate in maniera uniforme. Per le imprese la certezza del diritto è rilevante in quanto consente loro di formare aspettative stabili circa le politiche che ne influenzano i risultati economici.
Purtroppo, secondo il rapporto 2015 sulla certezza del diritto a cura dello stesso World Justice Project, l’Italia è al 30esimo posto su 102 paesi, con un coefficiente pari a quello del Botswana. Tra i Paesi dell’Unione Europea, solamente Romania, Grecia, Croazia, Ungheria e Bulgaria fanno peggio.
In questo breve post mi preme sottolineare come, con la sua condotta nel caso De Luca, Matteo Renzi abbia ulteriormente rinforzato il giudizio severo degli investitori esteri circa la certezza del diritto in Italia.
Torniamo per un attimo alla primavera scorsa. Tra i candidati alle primarie del Partito Democratico per le regionali della Campania, Vincenzo De Luca offre le maggiori garanzie di vittoria alle elezioni di fine maggio. Al segretario del Pd, Matteo Renzi, viene l’acquolina in bocca al pensiero di riempire un’altra casella di rosso. Certo, è un rosso parecchio sbiadito, ma non credo gli dispiaccia. C’è una norma, però, la cosiddetta legge Severino, che rende De Luca chiaramente ineleggibile, in quanto condannato in primo grado per abuso d’ufficio.
Questione chiusa, dunque? Ancora una volta, not so fast. Renzi viene edotto della possibilità che la norma venga dichiarata incostituzionale. In caso di elezione di De Luca, basterà fare ricorso e sperare di incappare in un giudice che sospenda gli effetti della legge fino a che la Corte Costituzionale non si sarà pronunciata. In tale scenario, De Luca sarebbe proclamato eletto e decadrebbe solo se e quando la Corte avrà rigettato il ricorso.
Come sappiamo, lo scenario prediletto da Renzi si è prontamente realizzato. Ora ci aspettano mesi di incertezza sull’effettiva durata dell’amministrazione De Luca, nonché sull’efficacia dei suoi atti. Rendendo questo stato di cose possibile, Matteo Renzi ha dimostrato di voler porre gli interessi di breve termine della propria parte politica ben al di sopra dell’interesse generale.
Spero sia ovvio che non si parla solamente di Campania. L’appoggio della candidatura De Luca serve agli operatori di mercato – tra cui le imprese estere – per formare le loro aspettative circa il comportamento che Renzi terrà in situazioni analoghe di ben maggiore respiro. Non solo. L’eccezione di incostituzionalità di una norma sollevata dalla stessa parte politica che non più di pochi mesi addietro l’ha fortemente voluta, dimostra che l’asservimento della legge ad obiettivi di parte è tuttora parte integrante del costume italiano.
L’incoerenza intertemporale che ne deriva è un fattore di disincentivo enorme per gli investitori, soprattutto quelli stranieri, viste le maggiori difficoltà che incontrano al fine di comprendere le sottigliezze della politica italiana.
Mi immagino il rapporto che l’addetto commerciale all’ambasciata canadese a Roma (per fare un esempio) avrà scritto in proposito: il presidente Renzi non si è fatto scrupoli a sostenere la candidatura di un membro del suo partito, nonostante questi fosse ineleggibile in forza della stessa legge – votata con entusiasmo dal Pd — che ha portato al decadimento di Silvio Berlusconi dal Parlamento. Ad elezione avvenuta, un ricorso per incostituzionalità ha portato alla sospensione della norma e alla conseguente instaurazione del membro stesso come Presidente della regione Campania. L’incertezza regna sovrana circa l’indirizzo dell’azione politico-amministrativa nei mesi a venire. Vista la pressoché totale assenza delle nostre aziende dal territorio campano, ciò non ci preoccupa in maniera diretta. Trattasi però di un segnale importante circa l’importanza che il presidente Renzi attribuisce all’affidabilità e stabilità del quadro normativo e burocratico in cui le imprese si trovano ad operare. Questi italiani non cambiano mai.
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