categoria: Res Publica
Che confusione a proposito di gas serra e inquinamento! (nell’enciclica e non solo)
Visti gli innumerevoli riferimenti a questioni tecniche che contiene, la pubblicazione dell’enciclica “Laudato Si’” non poteva mancare di scatenare commenti più o meno aspri da parte di una teoria di esperti e pseudo-tali. Qui vorrei occuparmi brevemente dei carbon credits (tradotto “crediti di emissione”), cui viene dedicato il paragrafo 171. Ne riporto integralmente il testo qui sotto:
La strategia di compravendita di “crediti di emissione” può dar luogo a una nuova forma di speculazione e non servirebbe a ridurre l’emissione globale di gas inquinanti. Questo sistema sembra essere una soluzione rapida e facile, con l’apparenza di un certo impegno per l’ambiente, che però non implica affatto un cambiamento radicale all’altezza delle circostanze. Anzi, può diventare un espediente che consente di sostenere il super-consumo di alcuni Paesi e settori.
Il testo tradisce una certa confusione circa gli scopi e gli effetti attesi dei crediti, non dissimile dalla confusione che spesso contraddistingue le disquisizioni in materia che si trovano sui media non specializzati. Come cattolico e grande ammiratore di Papa Francesco, non posso che rammaricarmi dell’opera mediocre dei consulenti del Vaticano responsabili del misfatto, per quanto veniale esso possa essere. Ma tant’è…
Innanzitutto occorre ricordare che, in un tipico sistema di carbon credits, la riduzione dell’inquinamento è fissata d’imperio dall’autorità pubblica. L’assegnazione dei credits, detti anche permessi d’inquinamento, ha l’obiettivo non secondario di rendere efficiente la distribuzione di tale riduzione tra i vari soggetti inquinanti.
Il punto, semplicemente, è che tali soggetti differiscono tra loro a proposito del costo di riduzione delle emissioni. Il fine del sistema è quello di minimizzare il costo totale che la società sostiene per l’abbattimento dell’inquinamento, fine che a sua volta si raggiunge quando gli impianti che riducono le emissioni sono quelli che lo fanno al minor costo.
Un governo che, per esempio, volesse limitare l’emissione di diossido di carbonio (ovvero l’anidride carbonica) da parte di centrali elettriche a 100 milioni di tonnellate, porrebbe in circolazione 100 milioni di permessi e obbligherebbe quasiasi centrale a procacciarsi – su un mercato appositamente costituito – un permesso per ogni tonnellata di emissioni di cui si rende responsabile.
I manager di ogni impianto si troverebbero a confrontare il costo di ridurre le emissioni con il prezzo di mercato del permesso, col risultato che gli impianti con costo maggiore del prezzo finirebbero per comprare permessi da quelli con un costo minore. La riduzione globale delle emissioni – determinata dal numero di permessi in circolazione – sarebbe perlopiù ad opera dei secondi, mentre la distribuzione dei costi tra i produttori (e i rispettivi clienti, nel caso di mercati dell’energia segmentati) dipenderebbe dall’allocazione iniziale dei permessi ad opera del governo.
Si noti invece che il costo totale di riduzione delle emissioni non dipenderebbe dall’allocazione dei permessi tra i partecipanti, visto che il calcolo economico in capo ai produttori è il medesimo, sia che questi abbiano i permessi in dotazione, sia che se li debbano acquistare sul mercato. Il confronto è tra il costo di riduzione delle emissioni ed il maggior costo dovuto all’acquisto (o minor ricavo dovuto alla vendita) del permesso.
Un ulteriore effetto distributivo potrebbe ottenersi qualora vi fosse un considerevole divario tecnologico tra aeree geografiche. In questo caso, vi sarebbe una sperequazione nella distribuzione territoriale della riduzione dell’inquinamento.
Tra il 1990 e il 2004, il governo federale americano ha orchestrato un abbattimento delle emissioni di anidride solforosa da parte di centrali termoelettriche pari al 36%. Invece di comunicare direttamente ai vari impianti a quante emissioni avrebbero avuto diritto, il governo ricorse proprio a un sistema di permessi di inquinamento, lasciando che fosse il mercato a determinare chi avrebbe ridotto le proprie emissioni e di quanto. I colleghi che si sono dilettati nella stima dei costi, hanno calcolato risparmi sostanziali rispetto allo scenario controfattuale in cui il programma non avesse previsto i permessi: da un minimo del 15% ad un massimo del 90%.
Per tornare brevemente all’enciclica, val la pena ribadire che l’obiettivo dei crediti di emissione non è la riduzione delle emissioni, ma la minimizzazione del costo di riduzione. Minori costi contribuiscono tra l’altro ad incrementare il sostegno pubblico per un’agenda di abbattimento dell’inquinamento. Diversamente da quanto suggerito nel documento, occorre anche precisare che il sistema non è né facile, né rapido – l’esperienza accumulata suggerisce che organizzare il mercato è invece operazione assai delicata. L’enciclica, infine, coglie certamente nel segno quando richiama l’attenzione sugli effetti distributivi del sistema.
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