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Non di soli tagli e pistole alla tempia. Cosa serve davvero alla Grecia (di @COdendahl)
Christian Odendahl è capo economista del Centre for European Reform. Pubblichiamo un suo articolo sulla crisi greca –
GRECIA, DOPO L’ACCORDO LAVORIAMO PER UNA SOLUZIONE
di Christian Odendahl
I negoziati in corso tra la Grecia e i suoi creditori stanno entrando nelle fasi finali, come indica il coinvolgimento di Angela Merkel e François Hollande. Le posizioni sono ancora distanti, soprattutto sulla riforma del mercato del lavoro e quella delle pensioni, che non solo Syriza ma anche il precedente esecutivo aveva rifiutato di attuare. La scadenza cruciale ora è il 30 giugno, quando la Grecia promette di pagare 1,6 miliardi di euro al Fmi (dopo aver accorpato alla fine del mese tutte le rate), e successivamente, a luglio, un rimborso di 3,4 miliardi di euro alla Bce.
Un accordo sulle riforme e sugli obiettivi di bilancio probabilmente alla fine sarà raggiunto: né Alexis Tsipras e Syriza, né la Merkel e l’Eurozona hanno interesse a un’uscita della Grecia dall’euro. Ma l’accordo sarà un aggiustamento di corto respiro, non una soluzione di lungo termine: e quello che deve fare la Grecia invece è formulare un pacchetto di interventi a lunga scadenza e politicamente trasversali per risolvere i suoi problemi istituzionali, una serie di misure che abbiano il sostegno della società civile. I creditori, da parte loro, devono sostenere un piano del genere e mettere sul tavolo obbiettivi di bilancio più ragionevoli e un alleggerimento del debito. Se le due cose arriveranno insieme, forse sarà possibile fare passi avanti verso una soluzione, invece che un semplice accordo.
Gli aspetti politici di un accordo
L’interrogativo politico fondamentale è: Tsipras, la Merkel e i leader di altri governi recalcitranti dell’Eurozona riusciranno a vendere l’accordo ai rispettivi Parlamenti ed elettori?
Se Syriza dovesse respingere un accordo stipulato secondo le linee attualmente in discussione, il partito probabilmente si spaccherebbe, aprendo la strada a nuove elezioni ed escludendo dal potere la parte più radicale di Syriza. La formazione capeggiata da Tsipras in questo momento è nettamente in testa nei sondaggi, ma le conseguenze potenziali del rifiuto di un accordo (che potrebbe portare a chiusure delle banche e controlli sui capitali) potrebbe spingere gli elettori a dare un’altra chance a formazioni più moderate. Dopo tutto, i sondaggi continuano a indicare che la maggioranza dei greci vuole restare nell’euro e vuole che si arrivi a un accordo. È probabile, quindi, che Syriza sosterrà Tsipras quando il primo ministro sottoporrà l’accordo al voto del Parlamento.
La Merkel è preoccupata per i rischi a più ampio raggio di un’uscita della Grecia: la stabilità dell’euro, la reputazione dell’Unione Europea, ma anche le implicazioni geopolitiche dell’indebolimento di uno Stato situato sul cruciale fianco sudorientale dell’Europa. Non permetterà che accada, a meno che qualcosa non sopraggiunga a forzarle la mano. Quel qualcosa potrebbe essere il suo ministro dell’Economia, Wolfgang Schäuble, insieme ad altri settori recalcitranti della Cdu? Sicuramente no: le notizie su una spaccatura fra Schäuble e la Merkel sono gonfiate. Schäuble può giocare la parte del falco, rafforzando la sua popolarità interna, perché sa che la cancelliera medierà per giungere al compromesso necessario a impedire la Grexit. E la Cdu è giustamente soprannominata dalla stampa tedesca Kanzlerwahlverein (il club di tifosi della cancelliera). Alla fine, tranne pochi ribelli, sosterrà la Merkel.
Gli altri Paesi dell’Eurozona probabilmente accetteranno se accetterà la Germania, o perché di solito si allineano alle posizioni tedesche, come la Finlandia, o perché hanno posizioni meno intransigenti di Berlino, come la Francia e l’Italia. Per il Portogallo e la Spagna, l’importante è che l’accordo non sia visto come una soluzione a buon mercato per la Grecia, perché i Governi al potere a Lisbona e a Madrid, che hanno applicato severi programmi di aggiustamento e riforme strutturali, saranno sottoposti al giudizio dell’elettorato tra qualche mese.
Gli aspetti economici di un accordo
I temi più controversi del negoziato sono la riforma del mercato del lavoro e quella delle pensioni, e la velocità del risanamento dei conti pubblici. La Grecia ha liberalizzato considerevolmente il proprio mercato del lavoro dopo il 2011, che ora, secondo l’Ocse, è più flessibile di quello della Germania. È anche a causa di ciò che il costo dei lavoro e i prezzi sono calati considerevolmente in Grecia (si veda il grafico 1). Nonostante questo, le esportazioni, a eccezione del turismo, sono cresciute molto poco, al contrario di altri Paesi del sud Europa. Insomma, è improbabile che sia la scarsa flessibilità del mercato del lavoro a frenare l’economia greca.
Il sistema pensionistico, un tempo assai generoso, è già stato radicalmente riformato. Sono necessari altri aggiustamenti, ma soprattutto perché i fondi pensionistici hanno perso molte attività nella ristrutturazione del debito pubblico greco del 2012 e l’economia è precipitata privando di risorse la gestione previdenziale.
Per rendere il sistema sostenibile nel lungo termine bisognerà fare ulteriori ritocchi, tanto più alla luce della recente sentenza di tribunale contro una parte dei tagli. Tuttavia, la via maestra per rendere il sistema pensionistico sostenibile è la crescita economica, non altre decurtazioni dei diritti acquisiti. Il capitale politico che verrebbe sprecato in un’altra riforma delle pensioni – con il 45 per cento dei pensionati già sotto la soglia di povertà – si potrebbe spendere meglio in misure per favorire la crescita e l’occupazione.
L’aggiustamento dei conti pubblici in Grecia è stato imponente. Il Fmi calcola che i tagli alla spesa e gli aumenti delle tasse fra il 2008 e il 2013 sono stati pari al 16,5 per cento del Pil, circa il doppio che in Portogallo o in Irlanda. L’impatto sull’economia greca è stato devastante, facendo aumentare, invece che diminuire, il rapporto tra debito pubblico e Pil. Il fatto che i creditori ancora sostengano, nonostante la schiacciante evidenza del contrario, che un risanamento dei conti pubblici in un’economia in crisi riduca il livello del debito si può spiegare solo con il fatto che hanno investito moltissimo su questa storia infondata. Nemmeno la Svezia, nei primi anni 90, riuscì a risanare le finanze pubbliche prima che l’economia si riprendesse. Puntare tutto sul risanamento dei bilanci, in Grecia, dal punto di vista economico è privo di senso.
Di cosa ha bisogno realmente la Grecia
L’ostacolo che si frappone tra la Grecia e la prosperità non è un’altra riforma del lavoro o altri tagli dei salari per rendere l’economia più «competitiva», e nemmeno un’ulteriore stretta sui conti pubblici o una riforma delle pensioni finalizzate a infondere più fiducia negli investitori. Le vere questioni sul tappeto sono più profonde: per sbloccare il potenziale della Grecia, per mettere in moto le sue competenze imprenditoriali e le sue risorse naturali sottoutilizzate, il Paese deve apportare miglioramenti alle istituzioni che governano la sua economia.
Come prima cosa Atene deve riformare la pubblica amministrazione, affetta da decenni da scarsa trasparenza, inefficienza e clientelismo. I vari tentativi di riforma che si sono succeduti hanno prodotto scarsi risultati e l’apparato burocratico rimane soggetto a una pesante influenza politica. Dopo lo scoppio della crisi qualche passo avanti è stato fatto, per esempio nel contrasto alla corruzione, ma l’impulso al cambiamento stava venendo meno già prima che Syriza arrivasse al potere. Il problema è che la riforma delle istituzioni non può avvenire senza un ampio consenso della società greca, dei politici e degli stessi dipendenti pubblici: e anche in questo caso non sarà facile e ci vorrà tempo.
La seconda riforma fondamentale riguarda il sistema giudiziario. Un sistema giudiziario funzionante è il nucleo essenziale di un’economia di mercato: beneficia gli imprenditori, gli investitori, gli esportatori e riduce la disuguaglianza. Attualmente sono necessari 1.580 giorni per far rispettare un contratto in Grecia, secondo l’indagine della Banca mondiale sulla facilità di fare impresa (la media Ocse è di 540 giorni): questo dato colloca la Grecia al 155° posto su 189 paesi del mondo, accanto al Pakistan, al Ciad e all’Italia. La classifica più generale sul grado di legalità stilata dal World Justice Project piazza la Grecia all’ultimo posto fra i Paesi ad alto reddito, appena sopra la Russia. Una riforma della giustizia di solito richiede parecchio tempo, e per condurla in porto serve quindi un ampio sostegno tra le forze politiche e l’opinione pubblica.
Il terzo punto dolente su cui intervenire è l’eccesso di regolamentazione e il coinvolgimento del settore pubblico nei mercati dei prodotti. La regolamentazione serve a far funzionare meglio i mercati dei prodotti e a ridurre al minimo i costi legali, ma può anche essere usata dalle aziende già consolidate per soffocare la concorrenza. I regolati hanno quindi un incentivo a fare pressione sulle autorità perché distorcano la normativa in loro favore.
Il controllo statale sull’economia, anche se in alcuni settori risulta utile, va limitato per la stessa ragione: i controlli sui prezzi e le aziende pubbliche sono potenziali terreni di coltura per il clientelismo. Le restrizioni sui mercati dei prodotti e il controllo statale dell’economia in Grecia sono più alti che negli altri Paesi dell’Eurozona, secondo l’Ocse, anche se va sottolineato che negli ultimi anni sono stati fatti passi avanti e ora Atene è al livello in cui si trovava la Germania non troppo tempo fa (si veda il grafico 2). L’Ocse ha stilato una lista di 329 raccomandazioni per migliorare la concorrenza in vari settori dell’economia greca, e queste raccomandazioni sono state incluse nelle trattative in corso. Ma la liberalizzazione potrebbe rivelarsi di corto respiro se non sarà integrata da una riforma della giustizia e della pubblica amministrazione.
Per affrontare questi nodi c’è bisogno delle idee, della determinazione e della perseveranza del popolo greco, non di pressioni esterne. Se uno fa qualcosa con la pistola puntata alla tempia, non si può pretendere che la faccia con entusiasmo. La società civile greca e una coalizione ampia di partiti devono unire le forze e accordarsi su un pacchetto di misure per riformare queste istituzioni in modo sostenibile, tale che possa essere portato avanti indipendentemente dai risultati delle elezioni future. L’avanzamento del processo di riforma non dev’essere monitorato da un soggetto esterno che microgestisce la politica greca, ma da un consiglio composto di esperti greci, esponenti della società civile, i mezzi di informazione e i principali partiti politici presenti in Parlamento. Solo se il processo sarà pienamente nelle mani dei greci le istituzioni potranno essere riformate.
Se la Grecia riuscisse a mettere insieme un consiglio e un programma con queste caratteristiche, i creditori dovrebbero sottoscriverlo con entusiasmo e offrire sostegno, sotto forma di obiettivi di bilancio meno restrittivi e della promessa esplicita e vincolante di un alleggerimento del debito qualora i greci riuscissero a condurre in porto questo pacchetto di riforme «autenticamente» loro.
La Grecia ha bisogno come minimo di una politica di bilancio neutrale, cioè né espansiva né restrittiva. L’ideale sarebbe una politica di bilancio espansiva finché l’economia non recupera il terreno perduto e la disoccupazione non cala significativamente. La politica di bilancio è anche il motivo per cui l’alleggerimento del debito è importante: un livello di debito più basso, oltre a ridurre la necessità di un ulteriore risanamento dei conti pubblici secondo le regole dell’Eurozona, accrescerebbe la capacità dell’economia greca di assorbire gli shock negativi di un’eventuale recessione futura, consentendo al Governo di Atene di evitare le politiche di bilancio procicliche che è stato costretto ad applicare negli ultimi cinque anni.
Ovviamente la Grecia avrebbe bisogno di tempo per elaborare questo pacchetto di riforme, ed è per questo che un accordo di breve termine sembra necessario, ora come ora. Dopo l’accordo, però, la Grecia e i suoi creditori farebbero bene a cominciare a lavorare su una soluzione, non solo su un accordo.
Twitter @COdendahl
(Traduzione di Fabio Galimberti)