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Mattone (e dollaro), allarme rosso per gli Emergenti
Scopro, sfogliando l’ultima Quaterly review della Bis (la banca delle banche centrali), un’evidenza che mi lascia di stucco: dal 2007 al 2014 i prezzi reali degli immobili residenziali brasiliani sono cresciuti di oltre il 90%. Questo nel peggiore dei periodi della storia economica contemporanea.
Leggo poi nell’ultimo Global economic prospect della Banca Mondiale, che il Brasile, insieme con la Russia, è il paese emergente che più degli altri sta subendo i rigori della difficile fase della congiuntura internazionale, con il “ribasso dei prezzi delle commodity che è previsto contribuisca alla recessione brasiliana nel 2015”. La World Bank, infatti, prevede che il Pil brasiliano scenderà di oltre l’1% quest’anno.
Ma il caso brasiliano ha anche la particolarità di non essere l’unico. A Hong Kong i prezzi del mattone sono cresciuti dell’89%, in India del 52%, in Malaysia del 42% “e ciò malgrado – nota la Bis – i ripetuti tentativi delle banche centrali di rallentarne la crescita”.
In Asia fanno eccezione a questo trend la Cina e la Corea, “dove i prezzi si collocavano su livelli grosso modo comparabili a quelli del 2007”, ma in compenso i prezzi sono esplosi anche in altri paesi emergenti. Oltre al Brasile, dove sono praticamente raddoppiati (e parliamo di prezzi reali), c’è anche il Perù, che ha avuto un incremento analogo, e la Colombia, dove sono cresciuti del 50%.
Fra gli emergenti fa eccezione la Russia, dove i prezzi nel periodo considerato sono scesi di circa il 30%, peggiore calo fra i paesi del G20, cui segue quello che si è registrato in Italia, dove i prezzi reali sono diminuiti di circa il 25%.
Vale la pena osservare che molti di questi movimenti, sia in ascesa che in discesa, sono stati confermati nel 2014. L’India, ad esempio, nell’ultimo trimestre dell’anno scorso, rispetto all’ultimo trimestre del 2013, ha visto prezzi in crescita per quasi il 10%, superiori addirittura al Regno Unito, che fra le economia avanzate è stata quella che più di tutte ha visto l’immobiliare in crescita. Mentre in Brasile la crescita dei prezzi è stata più contenuta, pochi punti percentuali, ma comunque positiva ancora l’anno scorso.
Russia e Cina hanno guidato i ribassi l’anno scorso, con la Russia al top dei ribassi. Vale la pena osservare che il nostro paese è terzo in questa classifica, visto che ha fatto peggio della Francia e del Giappone, dove i prezzi continuano a scendere (-2%) nonostante le politiche monetarie aggressive della banca centrale.
Vale la pena notare come nell’area euro l’andamento dell’immobiliare rifletta la forte frammentazione dell’economia nell’eurozona. In Grecia, per dire, dal 2007 i prezzi sono calati del 40%, come anche in Irlanda e Spagna, mentre in Austria e Germania sono cresciuti del 23 e del 7%. Gli unici paesi avanzati dove il mattone ha superato il livello del 2007, sempre secondo le statistiche elaborate dalla Bis, sono il Canada (+17%) e l’Australia (+11%), e poi, in Europa la Norvegia (+20%) e la Svezia e la Svizzera (+30%).
Questa rapida ricognizione sarebbe incompleta se non guardassimo a una delle variabili che in qualche modo ha influenzato l’andamento dei mercati immobiliari nei Paesi emergenti dove il mattone è cresciuto di più, ossia la quantità e la qualità della composizione dei loro debiti esteri contratti con le banche.
Un grafico contenuto della review della Bis spiega bene la situazione.
Qui osservo che, sempre il Brasile ha circa il 50% del proprio debito estero a breve termine, il 70% del quale è denominato in dollari americani, al livello del Messico. Mentre la Cina, che pure ha ridotto la sua esposizione in dollari a circa il 40% del debito estero, ha visto crescere notevolmente la quota di debito a breve dal 60 all’80% del totale dell’esposizione bancaria.
L’India, come la Cina, ha notevolmente aumentato la sua esposizione in dollari, che ormai sfiora l’80% del totale dei suoi prestiti, quasi la metà dei quali a breve termine. E infine la Russia è esposta il dollari per circa il 70% del debito estero, il 40% a breve termine.
Tutto ciò rende questi paesi estramamente sensibili ai cambiamenti valutari americani. E il mattone, che in fondo è un sottostante, di conseguenza.
La Banca mondiale, nella parte dove analizza le conseguenze di un apprezzamento del dollaro sull’economia americana scrive che “una rivalutazione reale del dollaro del 10% può ridurre il Pil Usa di almeno 3/4 di punto in due anni”.
Potete immaginare da soli cosa succederebbe al Brasile. E agli altri.
Twitter @maitre_a_panZer