I 9 mesi che aspettano l’Italia: tappe e scenari della crisi possibile

scritto da il 27 Agosto 2018

Tra settembre 2018 e maggio 2019 l’Italia se la gioca. Nei prossimi 9 mesi vari eventi possono innescare attacchi speculativi e provocare una correzione di mercato – o addirittura un “bear market” o un “market crash[i]. Gli ingredienti per la gestazione di una crisi ci sono tutti: decelerazione della crescita, aumento di debito e spread, fine del quantitative easing (Qe) della Banca Centrale Europea (Bce) e rischio di elezioni anticipate.

Il contesto globale: meno crescita, più incertezza. L’economia mondiale sta rallentando. Le condizioni geopolitiche sono in peggioramento[ii]. Le banche centrali si apprestano a togliere liquidità ai mercati; la US Federal Reserve (Fed) ha già iniziato. I mercati emergenti (emerging markets – Em) sono in sofferenza – Turchia su tutti.

Il contesto italiano: la ripresa di fine 2017-inizio 2018 si è esaurita Nel secondo trimestre del 2018 (Q2-2018), la crescita del prodotto interno lordo (Pil) è stata inferiore a quella dei 6 trimestri precedenti[iii]. L’economia è stagnante, “giapponesizzata[iv]: il Pil pro capite è fermo su valori di fine-1990. La crescita è prevista allo 1,1 per cento nel 2019[v] e stimata tra lo 0,8 e l’1,0 nel triennio 2020-23. In luglio 2018, i prezzi al consumo sono aumentati dell’1,5 per cento su base annua[vi] – al disotto del 2,0 per cento, obiettivo della Bce.

Le rigidità strutturali rimangono irrisolte, l’economia è esposta a shock avversi. In assenza di riforme, il potenziale si è ridotto e il debito pubblico continua a crescere[vii]. Innovazione e competitività sono al di sotto della media dell’eurozona (EZ)[viii]. La disoccupazione[ix] – ben al di sopra dei livelli pre-crisi e della media dell’EZ – mantiene fermi i redditi reali, indebolendo la domanda aggregata.

Le principali agenzie di rating stanno per emettere i loro giudizi, e i rischi di downgrade sono alti. Secondo Fitch, Moody’s, S&P e Dbrs, le prospettive macroeconomiche e di finanza pubblica sono preoccupanti. Il debito pubblico è solo due gradini sopra la soglia “livello speculativo/junk”. Con un downgrade a junk, l’Italia potrebbe perdere l’accesso agli investitori istituzionali (e.g.: fondi comuni, fondi pensione, Bce)[x] e rischierebbe un attacco speculativo.

Nei prossimi 9 mesi, ogni giorno i mercati esprimeranno un giudizio sull’affidabilità del “debitore Italia”. Ogni anno, l’Italia deve piazzare sul mercato circa 400 miliardi di titoli. Nel 2019 avrà bisogno dell’apporto degli investitori esteri, che al momento detengono[xi] più del 35 per cento del debito pubblico. Ecco il calendario dei prossimi 9 mesi, e un tentativo di analisi di scenario (probabilità: 70 percento).

Fine estate 2018

Investitori esteri in fuga, mercati illiquidi e volatili. I detentori stranieri dimostrano diffidenza. Secondo la Bce, i creditori non-residenti stanno liquidando titoli di stato a passo di record (più di 70 miliardi negli ultimi due mesi[xii], venduti per lo più a banche italiane[xiii]). Il motivo? Temono per la stabilità finanziaria del paese e aspettano il giudizio delle agenzie di rating. Il rendimento dei Btp italiani a dieci anni ha superato la soglia psicologica del 3.0 per cento[xiv]. L’ultima settimana di agosto è delicata. Con molti operatori ancora in vacanza, i mercati soffrono di scarsa liquidità, e sono passibili di impennate di volatilità.

31 agosto: Fitch. Il 31 agosto 2018, Fitch – che in aprile 2017 aveva declassato il rating sovrano da ‘BBB+’ a ‘BBB’ (due gradini sopra la soglia “livello speculativo/junk”), con outlook “stabile” – annuncerà i risultati di una ulteriore “sovereign rating review”.

Ogni aumento di spread costerà caro. Lo spread, il differenziale di rendimento tra Btp e Bund tedeschi a dieci anni, è salito da 135 punti base (dicembre 2017) a più di 300 (maggio 2018, massimo degli ultimi quattro anni) – e da allora si è mantenuto a livelli elevati, intorno ai 220-280 punti[xv]. Un aumento di 100 punti di spread equivale a: 1) un amento della spesa pubblica per interessi di circa 6,5 miliardi di euro nei primi tre anni (0,4 per cento del Pil)[xvi]; e 2) un incremento del costo medio di indebitamento per imprese e cittadini pari a 1,8-2,8 miliardi annui (0,2 per cento del Pil).

Autunno 2018

È il periodo più rischioso, si rischia il doppio downgrade. Entro dicembre 2018, il governo prenderà decisioni economiche cruciali per il Paese, cristallizzate dapprima nella “Nota di aggiornamento del Documento di economia e Finanza” (Def update) e poi nella “Legge di bilancio[xvii]. I mercati ne giudicheranno la credibilità. Saranno scrutinate la solidità fiscale e la volontà di portare avanti riforme strutturali. Inoltre, nel mese di settembre: 1) il governo dovrà trovare 12,5 miliardi di euro per evitare l’aumento automatico di due punti dell’Iva nel 2019; 2) scadranno 24 miliardi di Btp.

27 settembre: il “Def update” aumenterà deficit e debito … Entro il 27 settembre, il governo presenterà alle camere il “Def update”. Secondo l’Osservatorio CPI il ‘contratto di governo’ siglato da Lega e Movimento 5 Stelle (M5S) – se implementato – costerebbe tra i 108,7 e i 125,7 miliardi. La flat tax[xviii] ridurrebbe il gettito (e aumenterebbe la disuguaglianza). La revisione della legge Fornero[xix] e il reddito di cittadinanza[xx] aumenterebbero le spese. Le coperture, invece, ammonterebbero solo a 550 milioni. Gli investitori esteri e le agenzie di rating si concentreranno sul deficit proposto, considerandolo un indicatore delle reali intenzioni dell’esecutivo. Intende “rompere con l’Europa”? Stando alle dichiarazioni d’intenti, il “Def update” proporrà un’espansione fiscale del 1,0-1,5 per cento del Pil per il 2019, raggiungendo un livello di deficit più alto di quello previsto dalla legislazione vigente. Inevitabilmente, un minore surplus primario comporterà un aumento del debito pubblico.

… e tensioni politiche ormai palesi. Nonostante le dichiarazioni ufficiali di “perfetta sintonia”, sui conti il governo non appare coeso. Le tensioni[xxi] tra i due vicepremier Salvini e Di Maio – leader di Lega e M5S – e il ministro dell’Economia Tria possono mettere a repentaglio la longevità dell’esecutivo. Tuttavia, durante l’autunno 2018 una “crisi di governo” è improbabile: il governo rimarrà in carica, ma il rischio di elezioni nella prima metà del 2019 aumenterà.

15 ottobre: disegno di “legge di Bilancio” e richiamo da parte di Commissione Europea ed Eurogruppo. Entro il 15 ottobre, il governo presenterà il disegno di “Legge di bilancio” alle Camere, ufficializzando l’espansione fiscale. Allo stesso tempo, trasmetterà il “Documento programmatico di bilancio” (Dpb) alla Commissione Europea e all’Eurogruppo. Tra fine ottobre e inizio novembre la Commissione Europea e/o l’Eurogruppo esprimeranno riserve sui conti italiani: i commenti critici si concentreranno sul “fiscal easing”.  Un richiamo ufficiale da parte delle autorità europee farebbe aumentare: 1) lo spread; 2) la pressione dei mercati sui titoli di Stato; e 3) i rischi di downgrade da parte delle agenzie di rating.

26 ottobre: rischio di downgrade da parte di S&P.  Il 26 ottobre, S&P – che in maggio aveva confermato il rating sull’Italia a BBB- (un gradino sopra la soglia “livello speculativo/junk”) con outlook “stabile” – annuncerà i risultati di una ulteriore “soverign rating review”.

31 ottobre: downgrade da parte di Moody’s. Moody’s ha rinviato il rating dell’Italia – inizialmente programmato per il 7 settembre – a dopo la pubblicazione del “Def update”, e al più tardi entro la fine di ottobre, per “avere migliore visibilità sulle politiche fiscali e l’agenda di riforme strutturali”. Le probabilità di un downgrade sono alte. In maggio 2018, l’agenzia aveva mantenuto il rating a ‘Baa2’ (due gradini sopra la soglia “livello speculativo/junk”) con outlook “under review”.

Inverno 2018-19

Fine Dicembre 2018: approvazione “Legge di bilancio”; finisce l’espansione monetaria della Bce. Entro il 31 dicembre, il parlamento approverà il bilancio e l’espansione fiscale (1,0-1,5 per cento del Pil per il 2019). Non saranno annunciate riforme efficaci. La Bce porrà fine al Qe (al momento 30 miliardi di euro al mese[xxii]). L’assenza di contropartita in termini di riforme strutturali renderà impossibile “l’estensione del Qe oltre i limiti temporali e operativi”.

Il mercato dovrà assorbire quote maggiori di titoli, aumenterà la spesa per interessi. Nel 2019, il Tesoro dovrà rifinanziare 380 miliardi di nuovi titoli, quasi esclusivamente sul mercato. Senza la Bce[xxiii], gli investitori privati ne dovranno acquisire oltre 200 miliardi – ed esigeranno una maggiore remunerazione per il rischio Paese. Le banche italiane compreranno cifre record di Btp, ma non saranno in grado di contenere lo spread.

Gennaio 2019: lo spread sale e i rischi politici aumentano. I mercati considerano l’Italia preda del circolo vizioso “stagnazione prolungata, governo debole[xxiv], mancanza di riforme, alto debito[xxv], e richiedono un maggior premio di rischio, facendo crescere: 1) spread; 2) tassi di finanziamento; 3) rendimenti medi sulle nuove emissioni; e 4) costo del servizio del debito. Il Paese viene percepito a rischio di paralisi – o di scontro istituzionale – su provvedimenti economici di estrema importanza. Lega e M5S rimangono in “campagna elettorale permanente” – in vista delle elezioni europee (maggio 2019). I due elettorati di riferimento hanno priorità diverse, e Lega e M5S perseguono obiettivi e programmi discordi. Alle tensioni interne al governo si uniscono le richieste di rigore sui conti da parte dal Quirinale.

Crisi di governo e governo tecnico. Lo scontro si intensifica, la coalizione si spacca e una crisi di governo diventa probabile. Lo spread raggiunge i 500 punti e il rendimento dei Btp decennali supera il 6,0 per cento (il 7 per cento è il livello considerato “di guardia”, in cui si pensa che l’Italia perda accesso al mercato). Per risolvere la crisi, il presidente della Repubblica Mattarella conferisce a un tecnico[xxvi] l’incarico di formare un nuovo governo. Gli obiettivi principali dell’esecutivo sono: 1) migliorare le prospettive macroeconomiche e di finanza pubblica, attraverso riforme strutturali; e 2) rettificare la legge elettorale.

Primavera 2019

Febbraio 2019: clima da campagna elettorale: Lega e M5S: 1) attaccano le istituzioni europee e i mercati; 2) auspicano un’Italia fuori dall’Euro; e 3) invocano elezioni congiunte (nazionali ed europee) a maggio. Il governo tecnico tiene botta, propone riforme e cerca di riscrivere la legge elettorale. Lo spread cala.

Maggio 2019: elezioni europee. Lega e M5S ottengono buoni risultati[xxvii], così come altri partiti populisti europei. Aumenta la tensione politica, Lega e M5S chiedono – ma non ottengono – elezioni anticipate.

Giugno-settembre 2019: la Bce aumenta i tassi, le banche italiane soffrono. La Bce inizia a aumentare i tassi di interesse, facendo crescere il costo del denaro. L’aumento dei ‘costi di raccolta’ assottiglia i margini delle banche, già fragili di per sé. L’attività di intermediazione rimane letargica[xxviii]. L’economia e le finanze pubbliche soffrono la debolezza degli istituti di credito[xxix]. Le banche sono “piene” di titoli di stato[xxx] e a rischio –  con i Btp sulla soglia di “livello speculativo/junk”, e persa l’ultima ‘A’ con la decisione di Dbrs[xxxi] – di ottenere finanziamenti sempre minori dalla Bce[xxxii]. Se i bilanci degli istituti in crisi non vengono messi in ordine – risolvendo le sofferenze – ulteriori interventi pubblici diventeranno inevitabili.

31 ottobre 2019: Draghi lascia la Bce. Scade il mandato di Draghi, rimpiazzato da un Governatore più conservatore, avverso al Qe e preoccupato dall’inflazione. La Bce interrompe la sua politica monetaria ultra-accomodante, i mercati ne soffrono.

Nel lungo periodo, gli scenari possibili sembrano essere tre:

Scenario 1 (70 percento di probabilità): status quo e accettazione della leadership tedesca. L’economia ristagna, il dibattito politico pure. Il populismo è forte ma non sfonda. Il governo tecnico prova – senza successo – a migliorare la legge elettorale, ma porta a termine alcune riforme, riducendo i rischi macroeconomici e lo spread. L’Europa considera la contropartita sufficiente ed evita l’uscita dall’euro dell’Italia grazie a una condivisione dei rischi a livello continentale[xxxiii]. La Germania accetta la mutualizzazione senza dichiararlo esplicitamente: il processo sarà lento e implicito. I soldi tedeschi arriveranno in cambio di un rafforzamento della leadership di Berlino.

Scenario 2 (20 per cento): attuazione di una politica economica espansiva e di riforme incisive. Il governo attua una politica fiscale espansiva per spingere la crescita e ridurre la disoccupazione, aumentando gli investimenti pubblici e i consumi – incentivando così gli investimenti privati. Perché ciò sia attuabile è però necessario mantenere sotto controllo lo spread, la cui stabilità richiede un accordo preventivo con l’Europa – che in cambio pretende l’attuazione di riforme strutturali di cui l’agenda è nota. Pur perdendo sovranità, il governo riesce a migliorare la competitività a lungo termine e ad attrarre investimenti, aumentando la crescita potenziale.

Scenario 3 (10 per cento): uscita dall’euro. In caso di crisi economica globale, di recessione nell’EZ, e di crash dei mercati finanziari dovuta a una diminuzione della liquidità globale (tighter global financial conditions), le probabilità di Italexit aumenterebbero. Il fragile contesto politico, la mancanza di riforme e l’impossibilità stabilizzare il rapporto tra debito e Pil terrebbero lontani gli investitori e riporterebbero al potere istanze populiste ed euroscettiche. L’uscita dall’euro comporterebbe con ogni probabilità un default e la ristrutturazione del debito pubblico, con conseguente collasso del sistema bancario.

Come proteggere il proprio portafoglio? Una strategia di copertura (hedging)[xxxiv] può aiutare a: 1) attenuare eventi con probabilità bassa ma di grande impatto (i cosiddetti “rischi di coda” – tail risks); e 2) proteggere il valore dei portafogli. Gli attivi (assets) maggiormente colpiti da un’uscita dell’Italia dall’euro sarebbero: a) il tasso di cambio euro/dollaro (EUR/USD); b) i mercati azionari europei; c) lo spread tra obbligazioni tedesche e italiane; e d) le azioni delle banche europee e italiane.

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Linkedin Alessandro Magnoli Bocchi

 

NOTE

[i]Market correction”: una caduta – in una sola settimana – di più del 10 per cento dal massimo raggiunto nelle ultime 52 settimane. “Bear market”: una caduta – durante un periodo di 300 giorni – di più del 20 per cento dal massimo raggiunto nelle ultime 52 settimane. “Market crash”: una caduta di più del 10 per cento in un solo giorno, o una caduta – durante un periodo di 150 giorni – del 40 per cento dal massimo raggiunto nelle ultime 52 settimane.

[ii] Trump minaccia di sovvertire l’ordine globale. Le relazioni commerciali tra gli Stati Uniti, Cina e Europa sono ai minimi. Il rischio di una Brexit “disordinata” è in aumento.

[iii] Nel Q2-2018, la crescita del Pil è scesa allo 0,2 per cento sul trimestre precedente (dallo 0.3 per cento del Q1-2018) e a 1,1 per cento su base annua, l’incremento più debole dal Q3-2016. L’indice del clima di fiducia dei consumatori (al 116,3 in luglio, dal 116,2 di giugno) e quello delle imprese (al 105,4 da 105,5) sono rimasti stabili.

[iv] I sintomi ci sono tutti: crescita al di sotto del potenziale, tassi d’interesse reali vicini allo zero, inflazione bassa con tendenze deflazionarie, zombi banks. I dati lo confermano: negli ultimi 20 anni, il Pil è cresciuto a una media annuale dello 0,46 per cento. Negli ultimi sei anni, la media è scesa allo -0,20 per cento. Il livello del Pil è inferiore dello 0,7 per cento rispetto all’ultimo picco (Q2-2011). I dati “dopo-crisi” sono ancora più indicativi: tra il 2008 e il 2013, il Pil è diminuito di 10 punti percentuali, contro i 2 nell’eurozona (EZ); la produzione industriale è scesa di circa 25 punti, contro 10 nell’EZ; gli investimenti sono crollati del 30 per cento, quasi il doppio dell’EZ.

[v] Nel 2019, il governo si attende un poco realistico 1,4 per cento.

[vi] A giugno 2018 erano cresciuti dell’1,3 per cento

[vii] Il rapporto tra deficit e Pil è previsto al 2,7 per cento nel 2018 (2,3 nel 2017). A maggio 2018, il debito pubblico è cresciuto a 2.327,4 miliardi di euro (+14,6 miliardi rispetto ad aprile; +84,3 miliardi rispetto a fine 2017, con un incremento del 3,6 per cento). Nel Q1-2018 il rapporto tra debito e Pil ha raggiunto il record storico di 133,4 per cento; tale valore è il secondo più alto della zona euro dopo la Grecia (178,6). Valori di riferimento: media EZ: 86.6, criterio di Maastricht: 60.0.

[viii] Alti livelli di debito – pubblico e privato – limitano gli investimenti e la crescita della produttività. L’invecchiamento della popolazione riduce i consumi e aumenta i risparmi.

[ix] A giugno 2018 il tasso di disoccupazione è salito al 10,9 per cento (+0,2 rispetto a maggio), ben al di sopra dei livelli pre-crisi (6,1 nel 2007) e alla media dell’area euro (8,3); è cresciuto anche il tasso di disoccupazione giovanile al 32,6 per cento (+0,5 punti). Il tasso di occupazione è sceso al 58,7 per cento (-0,1 punti percentuali), e si sono registrati 49 mila occupati in meno rispetto a maggio (-0,2 per cento).

[x] Con un downgrade del debito a “non-investment grade”, l’Italia diverrebbe un “emittente speculativo”. Gli investitori istituzionali per statuto devono mantenere l’affidabilità del proprio portafoglio, e non possono quasi mai investire in junk bond. Di conseguenza, non potrebbero più comprare i Btp, e dovrebbero disfarsi di quelli in portafoglio. Il Tesoro italiano sarebbe costretto ad alzare i rendimenti offerti per attrarre gli investitori speculativi.

[xi] I Btp italiani a dieci anni sono detenuti da (per cento del totale): investitori esteri 35,4; Banca d’Italia 19,1; istituti di credito 15,3; assicurazioni 15,2; famiglie 5,4; fondi comuni di diritto italiano 2,7. La vita media residua del debito è 7,4 anni. Gli investitori non-residenti detengono debito pubblico per oltre 730 miliardi di euro e azioni e obbligazioni emesse da imprese private per circa 740 miliardi di euro.

[xii] In giugno 2018, i flussi netti in uscita ammontavano a 38 miliardi di euro, in aumento rispetto ai 34 miliardi di maggio – entrambi record storici.

[xiii] Nel Q2-2018, le banche italiane hanno accresciuto le loro posizioni nette di titoli di stato per più di 40 miliardi di euro, la cifra più alta dalla crisi dell’EZ nel 2011-12.

[xiv] Il rendimento del titolo a due anni, indicatore delle prospettive a breve termine di economia e finanze pubbliche, è salito oltre l’1,35 per cento.

[xv] Nel 2017 lo spread ha oscillato tra un massimo di circa 200 (fine febbraio) e un minimo di 135 punti (inizio dicembre). Nel 2018, lo spread si è mantenuto tra i 120 e i 140 punti sino a inizio maggio. Il 29 maggio 2018, ha toccato i 303.3 punti base. Il 15 agosto 2018, i 289.1 punti base.

[xvi] Secondo l’ufficio parlamentare di bilancio, un aumento di 100 punti di spread sullo stock di debito (i.e. uno shock di 100 punti base su tutta la curva dei rendimenti) aumenterebbe la spesa per interessi di circa 1,8 miliardi il primo anno (+3,4 per cento, equivalente a 0,1 per cento del Pil nel 2018), di 4,5 il secondo (+8,6; 0,3 del Pil nel 2019) e di 6,6 il terzo (+12,6; 0,4 del Pil nel 2020). Secondo il Tesoro, produrrebbe maggiori costi per 1,8 miliardi nel 2018, 2,7 nel 2019 e 2,0 nel 2020.

[xvii] Documento di economia e finanza (Def): principale strumento di programmazione economico-finanziaria, articola nel medio termine (tre anni) la strategia del governo e ne illustra le previsioni economiche. Viene presentato dal governo alle camere entro il 27 settembre di ogni anno.

Legge di stabilità (detta anche “manovra” – oggi fusa nella “legge di bilancio”): introduce variazioni alle entrate e alle uscite delle pubbliche amministrazioni, di tipo restrittivo (tagli) o espansivo (investimenti e stanziamenti), coerentemente con gli obiettivi fissati nel Def. Fissa i livelli massimi di indebitamento.

Legge di bilancio: approva il bilancio dello Stato. Le variazioni introdotte con la legge di stabilità vengono immesse nella legge di bilancio attraverso la “Nota di variazione del bilancio”. A partire dal 2016 la legge di stabilità e quella di bilancio sono fuse in un unico testo. Il disegno di legge di bilancio è presentato dal governo alle camere entro il 15 ottobre di ogni anno. L’approvazione del bilancio deve avvenire entro il 31 dicembre di ogni anno.

Documento programmatico di bilancio (Dpb): Istituito dal regolamento UE n. 473/2013, contiene l’obiettivo di saldo di bilancio e le proiezioni delle entrate e delle spese. Illustra il progetto di bilancio per l’anno successivo e viene trasmesso dagli Stati membri alla Commissione Europea e all’Eurogruppo entro il 15 ottobre di ogni anno.

[xviii] Flat tax: imposta ad aliquota fissa su tutti i redditi (da lavoro, da capitale, sulle persone fisiche, sulle imprese), a prescindere dal livello di reddito percepito. Costerebbe circa 50 miliardi di euro l’anno, di cui circa 35 miliardi andrebbero al 20 per cento della popolazione più ricco e 1 miliardo al 20 per cento più povero.

[xix] Con il 16 per cento del Pil speso in pensioni, l’Italia è al di sopra della media europea e seconda soltanto alla Grecia. La legge Fornero comporta un risparmio di spesa per il 2019-20 pari a circa 25 miliardi l’anno lordi (i.e.: escludendo dal computo le imposte pagate dai pensionati).

[xx] Secondo il M5S, il reddito di cittadinanza costa 17 miliardi (14,9 miliardi l’anno, cui si aggiungono il primo anno 2 miliardi d’investimento per riformare i Centri per l’Impiego), secondo il presidente dell’Inps Tito Boeri tra i 35 e i 38 miliardi l’anno – più del doppio. Se introdotto come proposto, diverrebbe il sistema più generoso d’Europa in termini monetari e uno dei meno stringenti per obblighi del beneficiario.

[xxi] Mentre i vicepremier Salvini e Di Maio premono per inserire nel disegno di “Legge di bilancio” le promesse elettorali più importanti: 1) flat tax; 2) revisione della legge Fornero (i.e.: pensioni); e 3) reddito di cittadinanza a prescindere dai vincoli di Maastricht, il ministro dell’Economia Tria – con il sostegno del Capo dello Stato Mattarella – si concentra sul rispetto degli equilibri di bilancio. Il vice ministro dell’Economia, Laura Castelli (M5S), ha fatto riferimento a flat tax e reddito di cittadinanza come “misure propulsive che vanno messe in atto a fronte del rallentamento dell’economia”.

[xxii] Gli acquisti mensili netti di titoli (pubblici e privati) della Bce ammontano attualmente a 30 miliardi di euro, in media. Il 14 giugno 2018, il Consiglio direttivo della Bce ha dichiarato: “dopo settembre 2018, se i dati in arrivo confermano le aspettative di inflazione a medio termine, il ritmo mensile degli acquisti netti sarà ridotto a 15 miliardi di euro fino al alla fine di dicembre 2018, e da quel momento gli acquisti netti termineranno”. A partire da gennaio 2019, la Bce reinvestirà le cedole e rinnoverà i titoli in scadenza.

[xxiii] Gli acquisti della Bce diminuiranno (da 110 miliardi del 2017 a 20 del 2019), mentre quelli dei privati dovranno aumentare (da 165 a 201 miliardi). Valori di riferimento: nel 2016 la Bce acquisì il 45 per cento delle nuove emissioni italiane a medio e lungo termine; la percentuale scenderà al 24 percento a fine 2018 e a 9,5 percento nel 2019. Nel 2000, con un debito al 105 per cento del Pil, gli interessi ammontavano al 6,1 per cento; nel 2018, con un debito al 133.4 per cento, il Tesoro pagherà circa il 4 per cento.

[xxiv] Il Governo Conte viene percepito come inadeguato ad attuare riforme efficaci.

[xxv] In mancanza di fattori di crescita esterni, l’economia italiana non è in grado di svilupparne di interni, attraverso riforme strutturali efficaci.

[xxvi] Ciò che è stato fatto con Monti (e tentato con Cottarelli): un governo composto da personalità senza un’appartenenza politica dichiarata e competenti nelle materie rilevanti. Il governo Monti è stato il secondo governo “tecnico” nella storia repubblicana, dopo il governo Dini. Nel novembre del 2011, durante la crisi del debito italiano (il rendimento dei titoli decennali salì al 6,74 per cento; il 7 per cento è il livello considerato “di guardia”, in cui si pensa che l’Italia perda accesso al mercato), il primo ministro Silvio Berlusconi è stato costretto a dimettersi. Un economista, Mario Monti, che aveva servito come commissario europeo dal 1995 al 2004, è stato nominato primo ministro e ha guidato un governo di tecnocrati, composto interamente da professionisti non eletti.

[xxvii] Il Movimento 5 Stelle (M5S) – con il 31 per cento delle preferenze e addirittura il 40 tra chi ha meno di 45 anni – è la prima forza politica. La Lega si attesta al 29 per cento. Nel complesso, M5S e Lega conquistano il voto di 6 italiani su 10. In agosto 2018, il 61 per cento degli italiani dava un giudizio positivo sul governo M5s-Lega.

[xxviii] Le banche italiane non intermediano il credito tra depositanti (risparmiatori) e mutuatari (imprenditori e aziende). Di conseguenza: 1) le aziende – anche quelle più produttive – sono a corto di liquidità; e 2) la redditività delle banche è bassa: rispetto al 2008 i ricavi sono diminuiti del 26,1 per cento e sono aumentate le commissioni.

[xxix] L’incidenza dei crediti deteriorati netti sul totale dei finanziamenti erogati (non-performing loan – NPL ratio) – all’11,0 nel 2015 – è scesa al 7,6 per cento nel 2017. Nel Q3-2017, i crediti deteriorati lordi – al 12.1 per cento – erano quasi tre volte più alti della media EU (4.4). Il rapporto tra il capitale di migliore qualità e le attività ponderate per il rischio (CET1 ratio) è al 13,8 per cento.

[xxx] Lo “stato patrimoniale” delle banche italiane, soprattutto per quanto riguarda la composizione dell’“attivo”, è esposto a titoli di stato, strumenti finanziari redditizi ma rischiosi. Alla fine del 2017, il portafoglio delle banche conteneva titoli di stato italiani per 331,7 miliardi, equivalente al 9,1 per cento del totale degli attivi (20,5 per le banche minori). In particolare, i titoli di stato italiani in portafoglio costituivano l’88 per cento del totale dei titoli sovrani (era 98 per cento nel 2013), con una vita media residua pari a 4,8 anni.

[xxxi] In luglio 2018, Dbrs – che in gennaio 2017 aveva declassato il rating del debito sovrano italiano da ‘A’ a ‘BBB’ (due gradini sopra la soglia “livello speculativo/junk”), con outlook “stabile” – ha confermato il giudizio.

[xxxii] Per erogare credito, la Bce tiene conto della rischiosità delle garanzie prestate (normalmente titoli di stato), e la misura con il rating più alto tra quelli delle quattro principali agenzie. In caso di caduta dei mercati, gli “attivi” – iscritti a costo storico nello “stato patrimoniale” – devono essere valutati a prezzo di mercato (mark to market). Se i titoli vengono declassati a “junk”, non possono più essere esibiti alla Bce come collaterale di garanzia per ottenere liquidità con le operazioni di rifinanziamento ordinarie.

[xxxiii] Poco a poco si creano le opportunità per: 1) riformare e rafforzare le istituzioni europee; 2) cambiare i Trattati (anche se ogni cambio richiede l’unanimità, la ratifica nei Parlamenti nazionali e – in alcuni Paesi – un referendum); 3) creare un Ministero Europeo dell’Economia e delle Finanze; 4) instituire un bilancio europeo (EZ budget); 5) creare le condizioni per investire, ampliando il piano Juncker; 6) riformare la governance dell’ “Unione economica e monetaria”, tra cui: a) trasformare il Meccanismo europeo di stabilità (European Stability Mechanism, Esm) in una sorta di Fondo monetario europeo; b) completare l’Unione dei mercati dei capitali; c) finalizzare l’Unione bancaria, ancora priva del suo terzo pilastro: lo schema unico di assicurazione dei depositi (European deposit insurance scheme, Edis) – completamento necessario dei due già esistenti: i) il Meccanismo di viglianza unico (Single supervisory mechanismSsm); e ii) il Meccanismo unico di risoluzione (Single resolution mechanism, Srm) per le banche; e 7) mutualizzare il debito, attraverso l’emissione di Eurobonds.

[xxxiv] Il paniere di copertura consigliato (suggested hedging basket) è composto da opzioni put out-of-the-money (OTM – 6 mesi, rolling over) contro: a) uno “shock politico” (opzioni OTM su EUR/USD); b) una recessione globale ed europea (opzioni OTM sull’indice Euro STOXX 600); c) incertezza sulla stabilità politica dell’Italia (opzioni OTM su: i. indice Euro STOXX 600 Banks; e ii. spread sui Btp e Bund decennali); e d) preoccupazioni sulla stabilità del sistema bancario (opzioni OTM su FTSE MIB Banks 15 percent Capped Index). In questa strategia, i prezzi di esercizio delle opzioni (strike prices) possono essere fissati tra il 10 per cento (per gli strumenti più negoziati, come EUR/USD) e il 25 per cento (per gli strumenti più volatili, come gli indici del settore bancario o gli spread obbligazionari). Ogni strumento del paniere può essere acquisito indipendentemente.