categoria: Draghi e gnomi
Manuale di Macroneconomia: quante facce ha il nuovo presidente francese?
Archiviato l’incubo della presidenza Le Pen e rintuzzata la minaccia populistica, gli elettori francesi – almeno quelli che non l’hanno sostenuto sin dal primo turno – promettono di esaminare con la massima severità le iniziative di Emmanuel Macron, capo di stato dal profilo irrituale e la cui legittimazione è, in qualche misura, attenuata dalle circostanze della sua vittoria: dal fatto, cioè, che il larghissimo risultato del ballottaggio vada letto più come un accorato rifiuto dell’alternativa autarchica, che non come un’attestazione di fiducia nei confronti dell’agenda riformista del quarantenne di Amiens.
Essere impiegato come salvagente democratico è un conto, ma governare è un’altra cosa – e le legislative di giugno forniranno un primo riscontro in tal senso.
A un analogo lavoro di approfondimento dovranno dedicarsi gli osservatori, fin qui troppo presi dalle modalità della sua ascesa – testimonianza di fiuto e tempismo rari, certo, ma propiziata da un sistema elettorale peculiare e dai suicidî di Valls e Fillon – per aiutarci a comprendere che animale sia veramente Macron: un centrista radicale? un progressista 2.0? un finanziere compassionevole? un liberalsocialista, ammesso che la categoria abbia un senso? o, ancora, un Renzi no-carb, come sembrano ritenere molti dei suoi improvvisati ammiratori italiani?
Quest’esercizio di zoologia politica – complicato dall’ostentata insofferenza di Macron per i tradizionali schieramenti partitici – non dev’essere, naturalmente, fine a se stesso. Il punto non è determinare che etichetta applicargli, quanto piuttosto tentare d’immaginare le linee fondamentali della sua azione di governo e, in particolare, della sua idea di economia.
L’operazione non è banale: il programma di Macron – anzi, il suo “contratto con i francesi” – è frutto del lavoro di ben cinquecento esperti, coordinati da Jean Pisani-Ferry, e contiene ingredienti graditi a un palato liberista accostati ad altri che ne tradiscono la provenienza socialista, tanto che è arduo ricondurre a unità il menù risultante.
Partiamo dalla finanza pubblica: l’obiettivo primario è di ridurre l’incidenza della spesa pubblica sul Pil dal 57 per cento al 52 per cento, così da avvicinare il dato alla media europea e consentire il contenimento del deficit entro i parametri comunitarî. Concretamente, si prevede un taglio di spesa per 60 miliardi di euro e una riduzione di organico per l’amministrazione centrale e gli enti locali pari a 120 mila unità complessive.
A questo sforzo di continenza, però, fa da contraltare un programma d’investimenti da 50 miliardi, che dovrebbe interessare la sanità, le infrastrutture, l’immancabile modernizzazione della pubblica amministrazione, oltre al digitale (con un fondo pubblico da 10 miliardi per il sostegno alle imprese innovative) e alla “transizione ecologica”. Peraltro, le coperture sono individuate in modo piuttosto approssimativo e dipendono in parte dalle previsioni sulla crescita economica, tutte da dimostrare.
Le direttrici in materia tributaria risultano altrettanto equivoche: da un lato, si mira ad abbassare il prelievo su imprese (l’aliquota dell’imposta sul reddito societario dovrebbe scendere dal 33 per cento al 25 per cento), lavoro (con un intervento sul cuneo fiscale) e famiglie (sparirebbe l’imposta sulla prima casa, e l’imposta sui patrimonî verrebbe circoscritta alle rendite immobiliari); dall’altro, si punta a inasprire la tassazione dei redditi da capitale e dei carburanti, nonché a intensificare la persecuzione delle multinazionali del digitale. L’effetto complessivo sarebbe quello di una assai modesta riduzione della pressione fiscale, sia pure con una diversa distribuzione degli oneri.
Un altro importante capitolo dei propositi di Macron è quello legato all’integrazione europea. Il leader di En Marche è stato diffusamente descritto come un fiero sostenitore del commercio internazionale: tuttavia, se esaminiamo nel dettaglio le misure proposte, questa caratterizzazione appare poco convincente. Il neopresidente auspica l’approvazione di un Buy European Act, volto a limitare l’accesso al mercato delle commesse pubbliche da parte delle imprese che non localizzino in Europa almeno la metà della propria produzione; promette meccanismi di controllo degli investimenti stranieri a tutela dei settori strategici; e suggerisce una maggior integrazione dei mercati del digitale e dell’energia, da conseguire attraverso sussidî pubblici e vincoli di prezzo: non esattamente un manuale liberoscambista.
Per converso, oltre a ribadire l’avversione per le pratiche di ottimizzazione fiscale delle multinazionali e la concorrenza fiscale tout court, il nuovo inquilino dell’Eliseo ipotizza la costruzione di una politica fiscale comune, con la nomina di un ministro dell’Economia dell’Unione. Come si vede, al profilo di rottura di Macron – attentissimo nel costruirsi l’immagine di un candidato orientato al superamento del discrimine tra destra e sinistra – corrisponde il significativo tasso di ambiguità del suo programma.
Al di là del merito delle singole proposte, che rimane il criterio di valutazione imprescindibile, s’impone un’osservazione più generale: la mancanza di una direzione chiara o, per usare una parolaccia, di un orientamento ideologico riconoscibile può sembrare un vantaggio per un politico che fa dell’indipendenza e del pragmatismo la propria cifra, ma rischia di rivelarsi controproducente.
Macron è per uno stato più leggero, ma senza abdicare alla politica industriale; è per tasse più basse oggi, ma non per tutti e senza compromettere la possibilità di alzarle domani; è per un mercato comune, ma regolato e protetto; è per la libertà delle imprese, ma a patto che non ne abusino (significativa, a questo proposito, l’intenzione di racchiudere in una sorta di lista di proscrizione quelle che non rispettano la parità di retribuzione tra uomo e donna).
L’abilità di orientarsi nelle circostanze più disparate è un talento prezioso; ma il cammino è più spedito e sicuro quando si può contare su una buona bussola.
Twitter @masstrovato