categoria: Vicolo corto
L’Italia, Schumpeter e le palme (a Milano)
Negli ultimi 20 anni, il prodotto interno lordo (Pil) italiano è cresciuto a una media annuale dello 0,46 per cento. Innovazione e competitività si sono mantenute al di sotto della media europea. Di conseguenza, il Pil pro capite è fermo su valori di fine-1990, la disoccupazione è al di sopra dei livelli pre-crisi (quella giovanile è al 37,9 per cento), povertà e disuguaglianza sono in aumento. Investire è difficile e poco redditizio. Le prospettive non sono brillanti: nel quinquennio 2017-21, la crescita è prevista allo 0,9 per cento.
Non rimane che puntare sull’innovazione e attrarre investimenti. L’innovazione – aumentando dinamicità e competitività – innesca l’evoluzione del sistema economico e crea crescita. Secondo l’economista Joseph Schumpeter, l’innovazione non richiede una realizzazione ex novo, non è una vera e propria invenzione. È – per esempio – il combinare materiali già esistenti in maniera mai vista prima, anticipando nuovi bisogni. L’imprenditore non inventa, innova: cambia le modalità organizzative dell’impresa, modifica i processi produttivi, lancia nuovi prodotti e apre nuovi mercati.
L’Italia innova da sempre. Innovare rende, sia in termini di cultura che di ricchezza. Nei secoli, gli imprenditori italiani – usando in maniera diversa materie prime o semilavorati inventati o scoperti da altri – hanno creato prodotti che sono diventati parte della tradizione e hanno ottenuto il riconoscimento dei mercati globali. L’Italia è il secondo produttore manufatturiero in Europa e il quinto nel mondo, e l’ottavo esportatore mondiale con 417 miliardi di euro venduti all’estero nel 2016.
Il dibattito su palme e banani in piazza Duomo a Milano è fuorviante. Per innovare bisogna rimanere curiosi, continuare a imparare, osare, perfezionare – non contrapporre, in maniera sterile e violenta, ciò che è “local” (percepito come “giusto”) a ciò che è “global” (avvertito come “sbagliato”). In altre parole, il rifiuto di influenze cuturali esterne spinge il Paese in direzione opposta alla sua storia.
La pasta al pomodoro – fiore all’occhiello dell’eredità culinaria e culturale italiana – è fatta con ingredienti non autoctoni. Il grano viene dall’Oriente, la pasta dall’Asia centrale. Il pomodoro è stato importato dal Sud America nel 1600. Gli ingredienti sono stati combinati a Napoli all’inizio dell’1800 e – dopo l’unificazione del Paese nel 1861 – il piatto è diventato parte dell’identità nazionale, nonchè simbolo dell’Expo 2015.
È difficile immaginare il tiramisù – orgoglio della tradizione dolciaria – senza uova, zucchero, mascherpone, caffè e cacao. Eppure nessuno di questi ingredienti è stato inventato o scoperto in Italia. Il pollo e lo zucchero sono di origini indiane. L’addomesticamento dei bovini e la tecnica di mungitura vengono dall’Asia Minore. Il caffè, pianta abissina, è stato scoperto e commerciato dagli arabi. Il cacao, coltivato dai Maya nello Yuchatan, Chiapas e Guatemala, nasce lungo il corso del fiume Orinico, in Venezuela e Colombia.
L’uva è stata resa domestica in Asia Minore. Le bevande fermentate sono state scoperte in Oriente. Il vino, inventato in Georgia, è diventato “icona” nazionale, capace di trainare il sistema Paese. Nel 2016, l’Italia ha prodotto circa 50 milioni di ettolitri, divenendo leader mondiale nella produzione; il valore dell’export, cresciuto del 3 per cento, ha raggiunto la cifra più alta mai registrata, 5,6 miliardi di euro.
Anche l’ industria agroalimentare si fonda su specie originarie di altri Paesi: aranci, ulivi, mais, patate, pomodori, pesche, peperoncini, fichi d’india, ma anche aceri, cedri, querce da sughero, tulipani, crisantemi. Polli, tacchini e storioni (da anni, l’Italia è il maggior esportatore di caviale) vengono allevati con successo e con profitto. La filiera agroalimentare italiana rappresenta l’8,7 per cento del Pil e il 13,2 per cento degli occupati (3,3 milioni di lavoratori). Nel 2016, le esportazioni di prodotti agroalimentari Made in Italy hanno raggiunto il massimo storico, 38 miliardi di euro, grazie a una crescita del 3 per cento.
L’acciaio è una lega di ferro e carbonio scoperta in India o Turkistan. Pur in sofferenza, la filiera siderurgica italiana ha prodotto 22 milioni di tonnellate nel 2015 (dopo la Germania, l’Italia è il secondo Paese europeo per produzione), per un giro d’affari di 36,6 miliardi di euro, e impiegato 42mila addetti diretti e quasi 70mila indiretti.
Il vetro è stato scoperto nell’antico Egitto, le lenti sono state inventate in Assiria, nell’odierno Iraq. Il settore dell’occhialeria italiana fattura 3,5 miliardi di euro ed è leader mondiale, con il 25 percento del mercato, nelle produzioni di fascia medio alta; circa l’85 per cento della produzione è destinato ai mercati esteri, per un valore di 3,4 miliardi.
Da sempre, la moda attinge da altre culture. L’abbigliamento, cappello incluso, nasce con gli antichi nomadi delle steppe asiatiche. L’uso della lana è stato scoperto in Asia Minore, quello del cotone in India, quello del lino in Medio Oriente, quello della seta in Cina. Le scarpe vengono fatte con pelle conciata con un procedimento inventato nell’antico Egitto e tagliate secondo un modello dell’antica Grecia. La cravatta è vestigia del foulard indossato dai mercenari croati assoldati da Luigi XIII durante la Guerra dei trent’anni (1618-1648): il termine deriva da hrvati, ovvero “croati”, croates in francese.
Settore solido e votato all’export, l’industria italiana della moda rappresenta il 4 per cento del Pil e cresce più del doppio del Pil: nel 2016, ha fatturato 84,051 miliardi di euro (dato ancora provvisorio) con una crescita dell’1,9 per cento. Nel periodo 2011-2015, ha dato lavoro a 57mila nuovi addetti (+21,2 per cento), per un totale di 327mila occupati.
Anche la religione non è autoctona. Il Cristianesimo, la religione più diffusa (con il 91,6 per cento della popolazione) è di origine Mediorientale. Nei secoli, la sua influenza sulla cultura del Paese è stata fondamentale. L’arte sacra è diventata parte dell’identità della pensisola: dalle basiliche paleocristiane agli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, dall’Ultima Cena di Leonardo agli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina, dal colonnato del Bernini a San Pietro all’aula Nervi in Vaticano.
La stesso vale per la musica sacra, da Pierluigi da Palestrina ad Albinoni, da Vivaldi a Pergolesi. La portata simbolica della palma nella cristianità è evidente, dalla celebrazione della domenica delle palme alle immagini della “Sacra Famiglia con Palma” di Raffaello (qui a sinistra) e Tiepolo.
A Milano, dietro alla Biblioteca Ambrosiana, nella cripta della chiesa del S. Sepolcro – il punto che Leonardo da Vinci considera il centro città – una palma in bronzo, commissionata dal cardinal Carlo Borromeo nel 1600, custodisce la copia del sepolcro di Cristo, contenente terra di Gerusalemme portata dai Crociati. Insomma, il patrimonio artistico italiano – fortemente influenzato dal Cristianesimo e spesso finanziato dalla Chiesa – è di inestimabile valore. Nel 2015 il turismo ha fatturato più di 171 miliardi e ha contribuito all’ 11,8 per cento del Pil e al 12,8 per cento dell’occupazione, dando lavoro a 3,1 milioni di persone.
Come spiegato nel saggio di Ralph Linton “One Hundred Per-Cent American” e reiterato in una recente mostra al Mudec di Milano, la nostra giornata è scandita da prodotti non autoctoni. Il letto è originario della Persia o dell’Asia minore, il pigiama – parola di origini persiane – viene dall’India dell’est, il piumino è stato inventato in Scandinavia. Le piastrelle del bagno vengono dal medio oriente, l’asciugamano dalla Turchia, il sapone è stato inventato dagli antichi Galli. Chi si fa la barba segue un rito dei sacerdoti pagani dell’antico Egitto e della Sumeria e promosso da un Macedone, Alessandro Magno.
E così via: la sedia viene dal medio oriente, porcellana e ceramica dalla Cina, il burro era in origine un cosmetico del vicino oriente. L’ombrello è stato inventato in India, la gomma è stata scoperta dagli antichi messicani. Le monete sono state inventate nell’antica Lydia, le sigarette in Messico e i sigari in Brasile.
Ciò che conta è il coraggio di sperimentare: se c’è innovazione, c’è crescita. Secondo Schumpeter, lo sviluppo è: “[…] combinare materiali e forze che si trovano alla nostra portata”. Milano, città simbolo dell’innovazione, deve poter osare. Come del resto ha sempre fatto: il risotto allo zafferano – piatto tipico meneghino – è sintesi di un cereale asiatico e di una spezia introdotta in Europa dai conquistatori Arabi. La Madonnina – simbolo della città – viene da Nazareth, in Galilea, nell’odierno Israele.
L’Italia ha bisogno di sviluppo, ma per svilupparsi deve rimanere curiosa e culturalmente aperta; in altre parole, deve rispettare la propria storia – fatta di coraggio e sperimentazione. Innovando, continuerà ad arricchire il proprio patrimonio culturale e creerà crescita e occupazione.