categoria: Vendere e comprare
È vero o falso che le tariffe dei taxi italiani si spiegano con i maggiori costi?
Finalmente l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inviato una sollecitazione alle Camere perché provvedano a rimuovere i più evidenti ostacoli alla concorrenza del settore dei taxi.
È almeno dal lontano 2006, quando le dure proteste dei tassisti romani contro il sindaco Veltroni bloccarono i timidi tentativi di liberalizzare i trasporti locali dei governi di centro-sinistra, che le vicende dei taxi costituiscono la cartina tornasole di governi deboli e ostaggio degli interessi particolari. Allora toccò al professor Giavazzi della Università Bocconi venire additato come il nemico pubblico numero uno della categoria per le opinioni espresse sul Corriere. Farmacisti, notai, avvocati, commercialisti, giornalisti, geometri, agenti di cambio, periti e tecnici di ogni genere: il numero di ordini professionali presenti nel nostro paese (se ne conterebbero 28 ) non ha riscontro nel mondo. E ancora oggi la sindaca Raggi, come nel 2008 il sindaco Alemanno, si schiera con la corporazione dei tassisti, coprendo la ricerca del consenso con i soliti argomenti contro “le liberalizzazioni” e “le multinazionali”.
In due precedenti articoli ho presentato alcuni fatti stilizzati sulle tarifffe dei taxi nel confronto internazionale, utilizzando diverse fonti e metodologie. Ho cercato di capire se fosse statisticamente fondata la percezione di chi viaggia o ha vissuto all’estero: che in Italia i taxi siano parecchio più costosi che in altri paesi. Nel primo articolo i dati di UBS del 2015, relativi alle tariffe dei taxi di 71 città dei paesi industrializzati mostrano che Milano e Roma sono al 54mo e 64mo posto delle città con tariffe più care in valore assoluto e al 60mo e 68mo posto quando si guarda alla tariffa del taxi rapportato ad una corsa sui mezzi pubblici (questi. in quanto tali sono sussidiati nella quasi totalità dei paesi)
Nel secondo articolo ho analizzato dati relativi a 128 città dei paesi avanzati, ricavati dal sito web numbeo.com . Questi ci dicono che quando le tariffe dei taxi sono aggiustate in modo da tener conto del diverso costo della vita nelle varie città, la posizione di Milano migliora, risultando al 33mo posto su 128 delle città più care (tariffa uguale al 80% di quella media), mentre quella di Roma addirittura peggiora (109mo posto) risultando più cara del 30% rispetto alla media.
Recentemente, in risposta a questi dati, l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre (CGIA) ha sostenuto che le maggiori tariffe italiane vadano attribuite ai maggiori costi che gravano sui tassisti (per gasolio, pressione tributaria, assicurazione auto, prezzo acquisto dell’auto). Dunque esse non andrebbero imputate ad alte barriere all’entrata che, limitando il numero di licenze, impediscono la concorrenza e alzano il prezzo delle corse. A sostegno di questa tesi, l’ Associazione produce ben 5 (!) osservazioni (Francia, Spagna, Germania, Italia e “Area Euro”), un campione statistico veramente poco significativo, per usare un eufemismo.
In questo articolo sottopongo a verifica empirica la seguente questione: quanto (eventuali) maggiori costi sostenuti dai tassisti italiani rispetto ai colleghi di altri paesi giustificano le (eventuali) tariffe più elevate?
Per rispondere ho raccolto i dati su alcune tra le variabile che verosimilmente influiscono sui costi di gestione dei taxi per 240 città del mondo osservate nel 2017 : un indice del costo della vita; un indice di congestione del traffico cittadino, che rallenta la corsa del taxi ne aumenta il costo finale; il prezzo in euro di un litro di benzina; il prezzo in euro di una corsa e quello di un abbonamento mensile al mezzo di trasporto pubblico, il mezzo di trasporto “più sostituibile” al taxi. Infine, ho tenuto conto del fatto che, per l’effetto Balassa-Samuelson discusso nel mio primo articolo, le tariffe nei paesi non industrializzati sono verosimilmente molto inferiori a quelle dei paesi industriali, anche tenendo conto del minor costo della vita.
Ho calcolato la tariffa del taxi in due modi diversi, per controllare che i risultati non dipendano dalla definizione adottata. La prima, la mia preferita, è data dalla somma di tre componenti: il costo iniziale (taxi start), il costo di una corsa di 5km ed il costo di 10 minuti di attesa. Questo perché nei diversi paesi e città le tariffe sono calcolate in modo diverso a seconda della lunghezza e/o della durata del percorso. Il secondo modo somma solo i primi due addendi, senza considerare il costo di attesa.
L’analisi (regressione su dati sezionali) permette di attribuire le differenze osservate tra le tariffe dei taxi nelle diverse città del mondo alle diverse condizioni di traffico, prezzo della benzina, costo della vita, prezzo dei mezzi pubblici, e al fatto di operare in un paese avanzato o in via di sviluppo. Questi elementi risultano molto significativi e congiuntamente riescono a spiegare oltre l’83 per cento della variabilità delle tariffe tra le città del campione. Questo fatto è importante perché implica che altre variabili potenzialmente rilevanti, quali il costo delle polizze e la pressione fiscale (quella effettiva però, che tenga conto dell’evasione, e non quella nominale considerata dalla CGIA) giocano un ruolo secondario, che potrebbe al massimo arrivare a spiegare il 17 per cento della variabilità osservata tra le città.
L’analisi permette di rispondere alla seguente domanda: se le condizioni di mercato fossero uguali nelle diverse città considerate e dunque i tassisti applicassero lo stesso “mark-up” dei prezzi sui costi, quali tariffe avremmo nelle diverse città? Qualora le tariffe effettivamente osservate fossero più alte di queste tariffe “previste”, cioè calcolate sulla base di un “ricarico medio” sui costi, allora vorrebbe dire che i tassisti di quella città hanno margini di ricarico maggiori rispetto alla media del campione , e che quindi la concorrenza è minore. Viceversa, se in una città la tariffa osservata fosse inferiore a quella “prevista” sulla base dei costi, allora vorrebbe dire che in quella città il margine di guadagno è inferiore, e la concorrenza maggiore, rispetto alla media.
La figura sottostante utilizza la definizione di costo di una corsa che include anche il costo di attesa. Ciascun puntino rappresenta una città. Sull’asse delle ascisse si misura la tariffa prevista sulla base dei costi, mentre in ordinata ho riportato la tariffa effettivamente osservata nella città. Se le città (i puntini) si trovano al di sopra della retta bisettrice, i tassisti di quelle città applicano un ricarico maggiore della media e la concorrenza è più bassa. Viceversa, i punti sotto la bisettrice rappresentano città con “mark-up” inferiore e maggiore concorrenza rispetto alla media. A conferma delle precedenti analisi, tutte le città italiane del campione (Roma, Milano, Torino e Trieste) si trovano sopra la retta bisettrice.
Ma qual è l’ordine di grandezza di questo “eccesso di ricarico sui costi”? È parecchio alto, troppo alto per essere attribuibile a variabili non considerate nell’analisi. La prima colonna della Tabella 1 riporta il rapporto tra tariffe osservate e quelle previste sulla base dei costi, quando la tariffa includa – o meno il costo di attesa. La seconda colonna ripete il calcolo utillizzando una tecnica di stima che dà un minor peso alle osservazioni che si discostano eccessivamente dalle altre (correggendo per i cosiddetti outliers).Queste ultime stime hanno il vantaggio di eliminare l’effetto sui risultati dei casi “anomali”. A seconda della definizione di tariffa o del metodo di stima, si ottiene che taxi romani applicano un extra-margine sui costi che supera quello medio di una percentuale che oscilla tra il 26 ed il 50 per cento, quelli milanesi tra il 14 ed il 22 per cento, quelli di Torino tra il 26 ed il 35 per cento e quelli di Trieste tra il 7 ed il 10 per cento.
Dunque quando si considerano i costi di gestione, appare ancora più evidente quello che le precedenti analisi, i diversi campioni di città, le diverse fonti statistiche e metodologie, mettono in luce: il mercato dei taxi italiano è molto meno concorrenziale che in altri paesi, e i tassisti applicano “ricarichi” sui costi considerevolmente maggiori di quelli esteri.
E d’altro canto il buon senso (e la teoria economica) aiuta: come potremmo mai spiegare il fatto che una licenza di taxi costi (in Italia!) oltre 100mila euro, se questa non garantisse un elevato “extra-profitto” negli anni di attività?
Le implicazioni di questa analisi sono importanti: i risultati suggeriscono che se le liberalizzazioni portassero la concorrenza ad un livello comparabile a quello internazionale, i margini di guadagno dei tassisti italiani, e dunque il valore delle licenze, cadrebbero di molto, in linea con le percentuali prima descritte. Il valore complessivo di questa perdita non finirebbe nel nulla, ma nelle tasche dei consumatori. Come insegna la teoria economica, vi sarebbero poi ulteriori benefici per tutti coloro che potendo mettersi alla guida di un’auto, troverebbero un lavoro ed un reddito. Possiamo discutere se sia o meno auspicabile che la fiscalità generale si faccia carico delle perdite dei tassisti. Ma, con buona pace delle associazioni dei taxi e dei loro sostenitori, non possiamo travisare la realtà e continuare a ripetere che “Tout va très bien, Madame la Marquise”.
Twitter @pmanasse
Blog dell’autore: Back of the Envelope Economy