categoria: Res Publica
Referendum, linee guida per un voto consapevole
Sono ormai mesi che proviamo a divincolarci nei meandri di una riforma costituzionale complessa. L’elettore tenta di informarsi, di seguire i dibattiti televisivi, di leggere gli articoli di sintesi, ma spesso deve alzare bandiera bianca, perché la materia non è di facile comprensione e la propaganda delle fazioni continua a confondere le idee.
In un precedente post ho cercato di rappresentare alcuni effetti economici che potrebbero verificarsi in caso di “Sì”, senza prendere una posizione netta. Farò nel prosieguo la medesima cosa, focalizzandomi sugli effetti giuridici e politici, convinto che ognuno dovrebbe aver chiaro cosa potrebbe succedere in caso di “Sì” e in caso di “No”, per poi scegliere liberamente la strada che ritiene più giusta in base all’idea di Stato che ha in mente.
Gli effetti costituzionali del voto – Vince il No
Partiamo dall’ipotesi più semplice, perché a livello costituzionale non cambia nulla ovviamente. È probabile che prima o poi ci si riproverà, perché anche molti sostenitori del “No” sono soliti affermare che la Carta necessiti di cambiamenti, ma verosimilmente passeranno un po’ di anni. Ad esempio, dall’ultimo referendum costituzionale (bocciato) sono passati dieci anni. Il “No” comporterebbe delle conseguenze politiche, ma le vedremo nel prosieguo.
Vince il Sì
Il primo consiglio che posso dare è quello di leggere direttamente il confronto tra il testo vigente e le modifiche che apporterebbe la riforma, potete trovarlo qui. Nessun intermediario potrà fare meglio di voi nell’interpretazione obiettiva del testo, siate un po’ diffidenti nei riguardi di chi è schierato e cerca di spiegarvi il testo, ma anche di chi non lo è (come lo scrivente). Se la pigrizia o la mancanza di tempo vi impedisce la lettura integrale, proviamo ad analizzare le modifiche significative passo dopo passo.
Le Camere (artt. 55-69)
a) Sarà la sola Camera dei Deputati a votare la fiducia al Governo.
b) I deputati saranno sempre seicentotrenta e verranno eletti a suffragio universale. I Senatori saranno cento, cinque dei quali nominati dal Presidente della Repubblica. I restanti novantacinque saranno Consiglieri Regionali e Sindaci.
Piccolo commento personale. Chi sceglie questi Senatori? Quanto dura il loro mandato? Non è possibile dare risposta ultime. Ne avrete lette e sentite tante da parte dei “tifosi” del “Sì” e del “No”, ma quel che ci è dato sapere è che – se dovesse passare la riforma – le due Camere attuali dovranno approvare una legge che regoli l’attribuzione dei seggi di Palazzo Madama e le relative sostituzioni. Come sarà questa legge? Quello che sappiamo è che ogni Regione dovrà essere rappresentata da almeno due Senatori (la ripartizione sarà a base demografica) e che «La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi». Qui occorre fare attenzione, perché Il pezzo in grassetto non garantisce alcuna elezione diretta dei Senatori, in quanto la nomina sarà competenza dei Consigli Regionali, che sceglieranno i Consiglieri-Senatori e un Sindaco-Senatore per Regione. In ogni caso, la frase in grassetto prova ad ancorare in qualche modo la scelta dei Consigli al voto degli elettori regionali. Impossibile dire come verrà rispettata la volontà dei cittadini, ma sappiamo che – in base alle Disposizioni Transitorie (Art. 39, comma 11) – dopo l’approvazione delle legge inerente alla nuova composizione del Senato, la stessa potrà essere sottoposta al giudizio di legittimità costituzionale presso la Corte Costituzionale, che si pronuncerà entro trenta giorni.
c) Restano i Senatori a vita attuali, saranno Senatori a vita i futuri presidenti emeriti della Repubblica, mentre i nuovi Senatori di nomina presidenziale resteranno in carica sette anni (non rinnovabili).
d) Se il Senatore decade dalla sua carica elettiva locale, verrà meno anche il suo seggio a Palazzo Madama (la sostituzione avverrà secondo quanto indicato dalla suddetta legge che verrà).
e) Resta l’assenza di vincolo di mandato, anche al Senato. L’indennità parlamentare resta per i Deputati, essendo i Senatori già retribuiti dai rispettivi organi di appartenenza.
La formazione delle leggi (artt. 70-82)
Partiamo con l’ormai celebre nuovo art. 70, che passa da un semplice capoverso attuale a sette commi, molto lunghi. Cerchiamo di fare chiarezza, ci sono da distinguere almeno tre macro-ipotesi in base alla materia legislativa.
Prima ipotesi, bicameralismo paritario ==> Camera e Senato hanno gli stessi poteri nella formazione di leggi in materia di:
a) leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali; b) leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71; c) leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni; leggi che stabiliscono le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea; d) leggi che determinano i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di Senatore; e) altre leggi di carattere prevalentemente territoriale (artt. 57 – sesto comma, 80 – secondo periodo, 114 – terzo comma, 116 – terzo comma, 117 – quinto e nono comma, 119 – sesto comma, 120 – secondo comma, 122 – primo comma, e 132 – secondo comma).
Seconda ipotesi, procedimento ordinario ==> La Camera dei Deputati approva qualsiasi disegno di legge che non rientra nelle materie elencate sopra. Il Senato, entro prefissati limiti temporali, può esaminare il testo e proporre delle modifiche. A questo punto la Camera si pronuncerà in via definitiva e la legge verrà promulgata.
Terza ipotesi, procedimento ordinario con forme e termini diversi ==> Si tratta di due ulteriori distinzioni al procedimento ordinario, nelle quali l’ultima parola spetta comunque alla Camera. Una riguarda il caso dell’art. 117 – quarto comma (competenze Stato-Regioni) e prevede che la Camera possa non conformarsi alle modifiche proposte dal Senato solo a maggioranza assoluta dei propri componenti. L’altra distinzione concerne la legge di bilancio, ma riguarda solo un diverso numero di giorni entro cui il Senato può proporre modifiche.
Piccolo commento personale. Questo sarà il nuovo procedimento legislativo in caso di “Sì”. È scritto un po’ come tutte le leggi italiane, che riescono sempre a complicarsi la vita (e danno lavoro a più di duecentomila avvocati). Tuttavia, non dovrebbe causare grossi problemi di interpretazione e di applicazione. In generale, l’iter di approvazione di una legge sarà più veloce, ma ovviamente ciò non implica alcuna garanzia sulla qualità (sia con il “Sì” sia con lo status quo, le buone leggi dipendono dalla qualità dei legislatori e dalle intenzioni politiche).
Novità sulle leggi di iniziativa popolare. Che richiederanno centocinquantamila firme per essere proposte (attualmente ne servono cinquantamila). I regolamenti parlamentari stabiliranno i tempi entro cui tali proposte dovranno essere discusse e deliberate. Per il referendum abrogativo invece, resta la richiesta delle cinquecentomila firme per la richiesta, ma qualora se ne raggiungessero ottocentomila il quorum si abbasserebbe alla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei Deputati.
Qualche paletto in più al cattivo abuso dei decreti legge, con delle limitazioni di materia all’azione del Governo ed una richiesta di corrispondenza tra l’oggetto/finalità del decreto ed il suo contenuto, in modo da provare a prevenire minestroni promiscui.
Titolo V: Regioni, Province, Comuni (artt. 114-133)
Le Province escono dall’alveo costituzionale. Restano Regioni, Città Metropolitane e Comuni come enti della Repubblica insieme allo Stato.
La parte più importante riguarda il novellato articolo 117, disciplinante la competenza legislativa Stato-Regioni che va a modificare la riforma del 2001. Come già ho evidenziato in un mio precedente pezzo sul tema (che include anche la tabella di cui sotto), attualmente lo Stato ha competenza legislativa esclusiva su alcune materie, mentre su altre vi è una cosiddetta competenza concorrente Stato/Regioni (dove la competenza ordinaria è affidata alle Regioni, mentre lo Stato emana i principi fondamentali). Con la vittoria dei “Sì” viene meno la concorrenzialità delle materie, distinguendosi tra materie di competenza esclusiva statale e materie di potestà legislativa regionale. In ogni caso, «Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale» (clausola di supremazia statale).
Si può notare la scelta ri-accentratrice del legislatore, con le Regioni che passano a un ruolo prevalentemente amministrativo ed operativo. La stessa logica accentratrice riguarda le modifiche all’articolo 119, che segnano implicitamente l’abbandono del federalismo fiscale, mai realmente decollato, ed un maggiore controllo dello Stato sulla finanza pubblica.
Piccolo commento personale. La riforma risolverà la conflittualità Stato-Regioni? “Ni”. La maggior parte dei conflitti sollevati dinnanzi la Corte Costituzionale riguardano il coordinamento della finanza pubblica e la tutela della salute, ma anche istruzione e beni culturali. Se osservate la tabella noterete che si tratta di materie ancora a cavallo tra lo Stato e le Regioni. Sussiste quindi il rischio di nuovi conflitti, almeno fino a quando la Corte Costituzionale non traccerà i perimetri dei nuovi confini. Per fare un esempio sulla sanità, servirà capire un po’ meglio in via interpretativa la differenza, a livello di competenza legislativa dello Stato, tra i “principi fondamentali” attribuita dal testo vigente e “le disposizioni comuni” del testo riformato.
Il Presidente della Repubblica, il Governo e la Corte Costituzionale
Per il Capo dello Stato (artt. 83-91), restano immutati i poteri e le caratteristiche essenziali della carica. Cambia in alcuni aspetti la sua elezione, nella quale il Senato mantiene piena competenza. Dal terzo scrutinio la maggioranza richiesta passa da quella assoluta attuale ai tre quinti dell’assemblea, mentre dal settimo scrutinio basterebbero i tre quinti dei votanti. Si alzano quindi le soglie di maggioranza richieste, serviranno accordi con le minoranze, anche perché al Senato potrebbero esserci maggioranze politiche ovviamente diverse da quelle della Camera. L’incertezza sulla prossima legge elettorale non rende possibile calcoli più precisi.
Per il Governo (artt. 91-99), nessun cambiamento da segnalare, se non l’uscita dalla Carta del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).
Per la Corte Costituzionale (artt. 134-137), l’unica modifica rilevante, già segnalata, concerne la possibilità di decidere, prima della loro promulgazione, sulla conformità costituzionale delle leggi elettorali di Camera e Senato.
Effetti politici del voto e il nodo della legge elettorale
Finita la disamina dei fatti, passiamo un po’ alle ipotesi sulle conseguenze politiche, che pare possano essere determinanti nella scelta degli elettori, benché siano completamente incerte e difficilmente prevedibili.
Se dovesse vincere il “Sì”, il Governo e, soprattutto, Matteo Renzi ne uscirebbero enormemente rafforzati, ma assumerebbero l’onere di una riforma pesante e dei suoi effetti.
Di contro, se dovessero prevalere i “No”, l’Esecutivo risulterebbe indebolito e potrebbero esserci anche le dimissioni del Presidente del Consiglio. Ma ciò dipenderebbe anche dall’eventuale scarto della sconfitta. Non è da escludere infatti che la fragilità della nostra ripresa economica convinca la maggioranza (e il Presidente della Repubblica in caso di crisi) ad andare avanti. In alternativa, gli scenari non sono facilmente prevedibili, da un governo di larghe intese, a un “governicchio”. Meno probabile una squadra tecnica o le urne anticipate.
Quello che non si dovrebbe dimenticare, è che nel 2018 si tornerà comunque a votare per le elezioni politiche, ergo sia in caso di “Sì” sia in caso di “No” il 2017 sarà un anno di feroce campagna elettorale e, l’anno successivo, i risultati potrebbero tranquillamente invertire i verdetti del referendum, spesso soggetti anche a scelte trasversali.
Un effetto politico importante del referendum riguarderà le posizioni di forza per le modifiche alla legge elettorale. Difficile pronosticare come (e se) l’Italicum verrà modificato, ma sembra ormai intravedersi una linea che tenterà di evitare il “winner takes all”. Su questo punto lo stesso Movimento 5 Stelle, che apparentemente potrebbe avvantaggiarsi del meccanismo dell’Italicum e di un ipotetico ballottaggio, nelle parole e nei fatti pare sempre aver propeso per una strada di legge proporzionale.
Piccolo commento personale. Prevale un sentimento di paura del lasciar governare una forza politica per cinque anni, paura che non riusciamo a scrollarci di dosso, presente anche tra gli stessi sostenitori del “Sì”. Chissà, forse dietro un apparente timore di autoritarismi, vi è un po’ la convenienza a non assumersi delle piene e chiare responsabilità, ma non sono bravo in dietrologie.
Alcuni ritornelli francamente insopportabili
Conclusa l’analisi, quali sono stati per voi i ritornelli che vi hanno irritato più facilmente? Nel mio caso la riduzione dei costi della politica per i fautori del “Sì” e il rischio autoritario per i sostenitori del “No”.
Sono notoriamente attento al livello della spesa pubblica italiana, ma non mi interessa entrare nel balletto delle cifre (50, 100, 500 milioni di risparmi annui). Non si dovrebbe incentrare la campagna sui risparmi, perché ci sarebbero tanti costi della politica su cui poter agire tramite legge ordinaria o anche attraverso regolamenti parlamentari. Non si rivoluziona un pezzo importante della Costituzione per una tal ragione o quantomeno non la si dovrebbe enfatizzare troppo in considerazione del cuore della riforma che verte su ben altri temi.
Sulla deriva autoritaria, non si capisce su quali basi si fondi tale asserito pericolo. Si può aprire un dibattito sull’assenza di espliciti contrappesi alla riduzione del potere legislativo, ma implicitamente ve ne sono almeno due: il controllo preventivo della Consulta sulla legge elettorale (le regole della democrazia) e la composizione non preventivabile del nuovo Senato, che ben potrebbe avere un colore politico diverso dalla Camera e ostacolare eventuali abusi della maggioranza nelle materie di sua competenza (tra cui rientrano le leggi di revisione della Costituzione). Obiettivamente, il rischio paventato non pare avere presupposti fondati, privo di analisi controfattuali e sembra assumere carattere strumentale.
Buon voto, consapevole.
Twitter @frabruno88