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Olimpiadi, i numeri (tanti) dicono che è una vittoria da lasciar perdere
In questi giorni la politica e i cittadini si dividono sulle motivazioni per cui sarebbe o non sarebbe stato giusto rinunciare alla candidatura olimpica. Andando al di là delle considerazioni e dei teatrini politici che hanno circondato questo evento, e della fallacia logica dei progetti-vetrina che “fanno bene al paese”, (quando fanno bene solo a qualcuno, nel paese, a spese di tutti), proviamo a vedere cosa dice la letteratura economica in merito.
Nel breve periodo le Olimpiadi sono spesso in perdita, ma questo non scoraggia chi le desidera, additando spesso benefici di lungo periodo “inquantificabili”. Per quanto le ricadute di lungo periodo in termini occupazionali, d’immagine, di soddisfazione siano difficili da quantificare, non è detto che questo non sia stato tentato. Diverse ricerche possono contribuire ad una discussione basata su dati e non su desideri.
Olimpiadi e infrastrutture
Com’è noto, le Olimpiadi sono costose: in media, fra il 1960 e il 2016 (esclusa Rio) le edizioni estive sono costate 5,2 miliardi di dollari, quelle invernali 3,1 miliardi. Queste stime considerano solo i costi legati allo sport: non includono i costi infrastrutturali, come ad esempio strade o aeroporti, che spesso raddoppiano la cifra.
In tutte le edizioni considerate dall’ampio studio di Flyvbjerg, Stewart & Budzier, 2016, il costo stimato è stato fortemente superato dal costo effettivo: in media, uno sfasamento del 156%. In 15 dei 19 casi considerati dallo studio, lo sforamento è stato superiore del 50%, in 9 casi oltre il 100%.
Perché avviene questo? In parte, è un macroscopico esempio di maledizione del vincitore: risultato degli eccessi di ottimismo nel partecipare alle aste. Ma il processo di partecipazione alla gara competitiva è già alterato da interessi particolari (imprese edili, comitati sportivi, albergatori) e dall’ego dei politici che verrebbe soddisfatto dalla realizzazione dei Giochi. Le stime ex ante sono quindi spesso così irrealistiche perché distorte da interesse e confirmation bias: tendono a sottostimare i costi e a ingrandire le possibilità di guadagno proprio perché realizzate o commissionate da chi più spera in questi eventi. È forse questo il caso dello studio dell’Univestità Tor Vergata (che avrebbe ricevuto le infrastrutture delle Olimpiadi romane), finanziato dal CONI, che prevedeva con le Olimpiadi 4 miliardi di risorse aggiuntive, con una crescita del Pil stimata al 2,4% nel periodo 2017-2023, per la Regione Lazio e Roma Capitale.
Il fatto che il rapporto fra spese previste nell’analisi costi-benefici sia falsato è estremamente grave, perché porta a un’allocazione inefficiente delle risorse. Ma questa falsatura è particolarmente grave nel caso dei progetti olimpici. Per un’utile comparazione, di solito lo sforamento nei prognostici di costo per i progetti infrastrutturali è del 20% nel caso di strade, del 34% nel caso di ponti e tunnel, del 45% nel caso di ferrovie (Flyvbjerg et al. 2002): motivo per cui, se l’argomentazione pro-olimpiadi è quella delle infrastrutture, è meglio fare direttamente quelle.
Ora, mentre l’utilità di progetti infrastrutturali con analisi costi benefici errate può essere dibattuta, la letteratura economica è concorde nel considerare scarsi o nulli i benefici economici associati alla costruzione di stadi e arene sportive (Coates & Humphreys 2008). Inoltre, le Olimpiadi lasciano spesso alle città ospitanti infrastrutture sportive specializzate che trovano scarso utilizzo dopo i Giochi, imponendo quindi costi netti di mantenimento.
In un mondo di scarsità di risorse, l’organizzazione delle Olimpiadi non è un volano: anzi sottrae risorse a investimenti necessari per realizzare progetti con stime del tutto sballate, frutto di pianificazione concitata e mediatica.
Export e posti di lavoro
Un’ulteriore ragione addotta in favore delle Olimpiadi ha a che fare con l’idea che servano a segnalare al mondo che un’economia è solida, i suoi prodotti sono desiderabili, e che di consequenza questi eventi creano occasioni per il commercio internazionale che non si sarebbero create senza la vetrina delle Olimpiadi. Un paio di studi confermano questo effetto: Rose e Spiegel (2011) hanno rilevato un aumento dell’export di oltre il 20% per i paesi ospitanti; Brückner & Pappa (2015) hanno riscontrato simili variazioni positive in consumi, investimenti e output. Ma è bene non balzare a conclusioni. La correlazione, come si suol dire, non è causazione. Maennig & Richter (2012) e Langer, Maennig & Richter (2015) hanno scoperto che, mettendo a confronto i paesi candidati con paesi dall’economia simile, ma non candidati, la variazione in termini di benefici economici tende a scomparire. In altre parole, è un caso di self-selection: non sono le Olimpiadi a generare un aumento di export e benefici economici connessi, ma è la crescita di un paese, la sua prospettiva di futura solidità economica che rende un paese più propenso a candidarsi.
Altro argomento comune a sostegno dell’organizzazione delle Olimpiadi, è l’aumento di posti di lavoro nel lungo periodo. Baumann, Engelhardt, & Matheson (2012) fanno un interessante case study sulle Olimpiadi invernali del 2002 in Utah: analizzando i tassi d’occupazione generali e in settori di “indotto” dal 1990 al 2009, e controllando i livelli occupazionali degli stati adiacenti, notano che non c’è stato un aumento significativo nel lungo periodo, né negli anni di preparazione, né in quelli successivi. Solo per la durata dei Giochi si è verificata una variazione statisticamente significativa dell’occupazione. Ci sono stati fra i 4000 e i 7000 lavori: più o meno un quarto dei 35.000 posti di lavoro stimati negli studi commissionati dall’amministrazione per giustificare l’investimento. Un investimento considerevole: circa 342 milioni direttamente nell’organizzazione e almeno 1,1 miliardi in infrastrutture collegate. Quasi 300.000 dollari per lavoro creato: non esattamente un modo efficiente di utilizzare queste risorse.
Il turismo
Un altro degli argomenti tipici per promuovere questo tipo di eventi è che costituiscono una vetrina per il turismo internazionale. In alcuni casi è vero: Barcellona è il caso di scuola, passando da essere la 13° destinazione turistica in Europa nel 1990 alla 5° nel 2010, dopo i giochi del 1992 (Zimbalist 2015). Purtroppo questi risultati non si sono replicati in altre nazioni, indicando che questo ragionamento può essere valido solo per quel che riguarda città che già hanno attrazioni turistiche, ma sono sottovalutate nel contesto internazionale. Ad esempio, Calgary, che ospitò i giochi invernali nel 1988, registrò un aumento di turismo nel breve periodo, ma, senza alcuna abilità di attirare turisti, è poi rapidamente scomparsa.
Viceversa, Londra, con i suoi 18 milioni di visitatori internazionali per anno, era già fra le più popolari destinazioni turistiche al mondo, e di certo non ha beneficiato della fama creata dalle olimpiadi del 2012. Anzi: secondo l’UK Office for National Statistics (2015) il numero di visitatori scese a 6,174,000 durante i mesi delle Olimpiadi, contro i 6,568,000 dell’anno precedente. Allo stesso modo, Pechino ha dichiarato una riduzione del 30% dei turisti internazionali durante i mesi delle Olimpiadi rispetto all’anno precedente (Baade & Matheson 2016).
Ora, pare ragionevole assimilare il caso di Roma più a Londra che a Barcellona. Dal punto di vista del turismo, non è di certo la fama il problema di Roma: sono semmai le infrastrutture, la sicurezza, l’offerta di mobilità e di strutture ricettive, la gestione spesso inefficiente del patrimonio culturale. Sarebbe il caso di investire nelle aree problematiche, dato che non è la visibilità internazionale quello che manca alla capitale italiana.
Orgoglio nazionale, benefici intangibili
Ma non di soli soldi vive l’uomo! Come trascurare gli effetti intangibili, l’orgoglio nazionale, il piacere di partecipare alle Olimpiadi? Un sondaggio del 2012 della BBC riportava che l’80% degli intervistati si sentiva, dopo i Giochi, “più fiero di essere britannico”.
Molti studi hanno provato a valutare questo effetto con il metodo della valutazione contingente, ovvero un sofisticato questionario che permette di capire il valore monetario che gli individui darebbero a benefici immateriali. Un paio di studi hanno provato a calcolare l’utilità attesa di ospitare le Olimpiadi per i londinesi (oltre al beneficio di assistere agli eventi, internalizzato nel costo dei biglietti), e hanno stimato un beneficio psicologico pari a 2 miliardi di sterline. (Atkinson, Mourato, Szymanski, and Ozdemiroglu (2008) e Walton, Longo, and Dawson (2008).
Peccato che le Olimpiadi a Londra siano costate 18 miliardi di dollari le entrate per la città siano state solo 3,5 miliardi. Quindi i 2 miliardi di beneficio psicologico non riescono a giustificare razionalmente gli oltre 14 miliardi di deficit rimasto (Zimbalist 2015).
Anche perché, orgoglio nazionale o meno, ben poche persone derivano un’utilità psicologica dal pagare le tasse e i buchi di bilancio necessariamente zavorrano i governi negli anni successivi. Nel caso peggiore (quello di Sochi 2014) una zavorra di circa 1,2 miliardi per anno sulle finanze russe (Müller 2015).
Vista la situazione delle finanze pubbliche italiane, si tratta di una vittoria che possiamo tranquillamente lasciar perdere.
Twitter @rmbitetti