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Le obbligazioni bancarie e l’esposizione delle famiglie, una storia italiana
L’ultimo staff report del Fmi dedicato all’Italia presenta alcuni grafici, fra i quali uno che confronta l’esposizione obbligazionaria delle famiglie italiane verso le banche con quella dei principali paesi europei. Quasi il 40% degli investitori domestici in obbligazioni bancarie sono famiglie, praticamente il triplo che in Germania, seconda classificata, con le famiglie spagnole e olandesi in coda con percentuali inferiori al 5%. Questa caratteristica porta con sé le sue conseguenze, che nel nostro caso pesano per circa 230 miliardi di euro investiti in obbligazioni bancarie, 30 dei quali in subordinate. I numeri sono estratti da quest’altro grafico. Qui si legge che il totale dei bond bancari subordinati pesa 67,2 miliardi, 31 dei quali sono in mano a investitori retail, ai quali si sommano altri 200,2 miliardi di bond senior.
La normativa, entrata in vigore nel nostro paese dal gennaio di quest’anno, prevede che sia soggetto al bail in almeno l’8% del totale dei debiti bancari, come pre condizione per avere accesso al fondo di risoluzione. “I debiti soggetti al bail in – ricorda il Fmi – sono gli strumenti di capitale, poi il debito subordinato e come risorse finali i bond non assicurati e altri debiti senior. I depositi possono essere soggetti a bail in solo per la parte eccedente i 100 mila euro”. La legge italiana che ha recepito la direttiva europea del bail in è andata oltre il dettato, stabilendo la preferenza nel salvataggio dal bail in dei depositanti rispetto agli obbligazionisti senior non assicurati, ma a partire dal gennaio 2019. Nell’arco di tempo fra il gennaio 2016 e il dicembre 2018, quindi, i depositi non assicurati e gli obbligazionisti senior non assicurati sono assimilati, a meno che le autorità di risoluzione non decidano diversamente.
Questo quadro normativo assume sostanza nel caso delle famiglie italiane che, come abbiamo visto, sono imbottite di debito bancario. “Le famiglie detengono quasi un terzo del debito bancario senior e quasi la metà del debito subordinato”, dice il Fmi. La buona notizia è che secondo le rilevazioni di Bankitalia circa il 50% del debito senior andrà in scadenza nel 2017, e solo una piccola quota rimarrà fino al 2020, sempre che le banche italiane trovino il modo di finanziarsi altrove. Detto in altre parole: dobbiamo preoccuparci ancora a lungo. Questo debito, infatti, non è esente da rischi.
Un altro grafico preparato dal Fmi mostra gli effetti potenziali del bail in sulle passività delle banche italiane. I dati sono estratti sulla base dei bilanci delle 15 banche più rappresentative. Emerge che, per la maggioranza, un eventuale bail in dell’8% sulle loro passività implicherebbe il pieno coinvolgimento degli investitori retail che hanno in pancia debito subordinato. “Per circa i due terzi delle banche considerate – osserva il Fmi – le perdite potrebbero anche essere imposte ad alcuni debitori senior”. Resta da capire se in questa categoria rientrino o meno anche i depositi non assicurati, almeno nel periodo fino al dicembre 2018, anche se dal grafico sembra di no.
In ogni caso, da tutto ciò emerge che la bomba del bail in è assai più esplosiva di quanto si pensi, a livello finanziario, ma soprattutto politico. “In caso di risoluzione – sottolinea il Fmi – i fondi propri di una banca è presumibile che si riducano ulteriormente, il che potrebbe implicare una maggiore penetrazione nel debito senior”. Senza considerare che le famiglie italiane, che hanno in pancia oltre 30 miliardi di bond subordinati, sono le seconde (dopo gli azionisti) che rischiano di vedersi presentare il conto. Capite bene perché non si parli d’altro.
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