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Quanti anni serviranno al mattone italiano per tornare ai prezzi pre-crisi?
Uno studio molto interessante rilasciato pochi giorni fa da Bankitalia ci racconta l’epopea del mattone italiano dal lontano 1927. Un lavoro utilissimo per la semplice ragione che il mattone alimenta miti e leggende, fra le quali la convinzione, assai comune nel nostro paese, che l’investimento immobiliare sia in fin dei conti l’unico che valga la pena perseguire. Perciò è meritorio il lavoro di chi, ricostruendo serie storiche e azzardando interpolazioni, riesce a quantificare indici ragionevoli abbastanza da farci capire se sia davvero così.
Secondo i dati raccolti, i prezzi reali delle abitazioni, in questi quasi novant’anni, sono pressoché triplicati, arrivando a quintuplicarsi in alcune grandi città. Giudicate voi se questo rendimento – che comunque andrebbe misurato con i costi che il mantenimento di questo patrimonio ha comportato – sia sufficiente a consolidare la convinzione che il mattone sia il migliore degli investimenti possibili.
Vale la pena, tuttavia, approfondire, visto che lo studio ci regala altre interessanti informazioni. Prima però dobbiamo fare alcune premesse di metodo. Il prezzo delle abitazioni viene considerato nelle due componenti caratteristiche, ossia il valore dei terreni su cui si edifica e il costo di costruzione del fabbricato, ognuna delle quali incorpora dinamiche e storie diverse. E qui già viene fuori la prima informazione: “I prezzi della terra (aree fabbricabili) hanno fornito il maggiore contributo all’aumento del prezzo delle case. I prezzi della terra risultano inoltre la componente più volatile dei prezzi delle case, come in altre economie avanzate”.
Il racconto dell’epopea dei prezzi (si veda il grafico qui a sotto) inizia con la profonda recessione iniziata proprio nel 1927 e durata fino al 1934, quando i valori nominali scesero di oltre il 40%. Non siamo poi così distanti da quanto è accaduto dopo il 2008. Ci vollero più di otto anni perché i prezzi ritornassero al livello iniziale. Se i prezzi vengono considerati al netto della componente inflazionistica, viene fuori che la flessione dei prezzi reali proseguì fino agli inizi degli anni ’40. Solo alla metà di quel decennio i prezzi tornarono al livello del 1927. E questo ci insegna un’altra cosa: il mercato immobiliare ha ritmi “geologici”. I cicli dell’immobiliare possono durare decenni. Va osservato che la deflazione dei costi di costruzione si manifesta più contenuta rispetto a quella dei prezzi.
Dal 1946 in poi fino alla seconda metà degli anni ’60 “la crescita dei prezzi supera di poco l’inflazione”, quindi “i prezzi reali segnano un incremento relativamente contenuto”. I costi di costruzioni crebbero più dell’inflazione, almeno fino al 1968, ma i prezzi crebbero “a ritmi decisamente inferiori rispetto a quelli del PIL pro capite”. E qui potremmo trarre un altro insegnamento: non è detto che nelle fasi espansive il mattone tiri quanto il resto dell’economia. In compenso il suo contributo alla crescita dei prezzi generali è rilevante. Il che connota questo settore come tanto importante quanto potenzialmente rischioso.
Il grosso del boom del mattone si verifica sostanzialmente fra il 1970 e il 2007, pure se a fasi cicliche alterne, quando i prezzi arrivano a triplicare in termini reali. Gli anni ’70 erano gli anni della grande inflazione, e questo probabilmente ha contribuito alle scelte di investimento di tanti. Sia come sia, si verifica una novità: i prezzi delle case crescono quasi il doppio dei costi di costruzione e, soprattutto, “dal 1970 al 2007 l’aumento dei prezzi delle abitazioni è di un ordine di grandezza simile a quello del prodotto pro capite”.
La circostanza che sia aumentato notevolmente lo scollamento fra i costi di costruzione e i prezzi è un’altra utile informazione, che ci conduce direttamente a un’altra: il peso relativo assai importante dell’andamento del valore delle aree fabbricabili sul prezzo. Infatti mentre i prezzi sono più che triplicati – l’indice a base 1 è pari a 3,2 – quello del costo dei fabbricati è poco più che raddoppiato – indice basi 1 a 2,3 – con conseguenze differenti sul livello dei prezzi.
Un altro grafico che mette a fuoco il trend a far data dal 1950 aiuta a capire meglio. Seppure nella diversità delle stime usate, si osserva che i prezzi rimasero sostanzialmente stabili fino agli anni 70 per poi impennarsi e iniziare un ciclo caotico di saliscendi che la dice lunga sull’instabilità finanziaria ed economica del periodo seguente. In sostanza, il mattone entrò nella girandola dei mercati finanziari e da lì non è più uscito.
Possiamo consolarci pensando che questa (dis)avventura non riguarda solo noi. Il confronto internazionale con quattordici paesi mostra che in queste economie lo slancio dei prezzi inizia già dal secondo dopoguerra, a differenza di quanto accaduto in Italia, per proseguire erraticamente – ma più stabilmente rispetto al nostro paese – fino al crollo del 2008. Rimarchevole che l’Italia si porti al livello degli altri grazie al picco degli anni ’70. E a spiegare questo picco contribuiscono molto gli andamenti dei prezzi delle aree fabbricabili.
Dal dopoguerra e per tutti i ’60, infatti, la crescita del costo dei terreni è contenuta nell’ordine dell’1% l’anno in termini reali. Ma nel decennio successivo accelera significativamente. Tra il 1970 e il 1980 i prezzi quasi raddoppiano e dopo i prezzi crescono in maniera sostenuta fino al 2007: l’indice il termini reale risulta pari a 2,5 a fronte della base 1 del 1980. “Nell’intero periodo 1927-2012 – spiega Bankitalia – la crescita dei prezzi dei terreni supera quella delle abitazioni, a sua volta più elevata di quella dei costi di costruzione dei fabbricati residenziali”. Quindi l’investimento migliore l’ha fatto chi ha comprato terreni e li ha venduti come edificabili, non chi ha comprato casa.
Tale andamento peraltro risulta comune a quello delle altre economie osservate. E, se possibile, il trend dei prezzi dei terreni ha andamenti ancora più “geologici”: solo negli anni ’70 si è recuperato il livello precedente al 1913 e nel trentennio dal 1980 al 2010 i prezzi dei terreni sono raddoppiati. “Nelle principali economie avanzate i prezzi delle case in termini reali nel 2012 erano 3,4 volte quelli del 1950; i prezzi della terra 7,3 volte; per questi paesi circa l’81 per cento della variazione del prezzo delle case risulta attribuibile alla crescita del prezzo dei terreni edificabili”. Ciò che potevamo immaginare, e che l’analisi conferma, è che la media dei prezzi cambia se si paragona il dato italiano con quello delle città principali, che sono quasi il doppio del dato nazionale.
Tutto questo ha avuto notevoli effetti sulla ricchezza nazionale e importanti conseguenze distributive, che finiscono con l’impattare sulla nostra attualità. Il mattone ha contribuito notevolmente alla crescita della ricchezza in rapporto al Pil che, per le famiglie, è passata da circa tre volte il Pil nel 1964 a circa 6 nel 2012, avvicinandosi a un rapporto simile a quello che si osservava verso la fine del XIX secolo. In sostanza c’è voluto circa un secolo per recuperare la distruzione di ricchezza provocata dalle guerre. E questo solleva preoccupazioni distributive, visto che “un aumento del rapporto tra ricchezza e PIL accresce la quota di reddito che affluisce al capitale”, ossia a chi i soldi ce li ha già rispetto a chi non li ha.
Senonché molti autori hanno osservato che la crescita della ricchezza “è in larga misura dovuta all’aumento dei prezzi delle case, più rapida di quella degli affitti”. “In altri termini, due terzi dell’aumento del rapporto tra ricchezza delle famiglie e PIL sarebbe dovuto alla crescita dei prezzi reali delle abitazioni, a sua volta attribuibile in buona misura all’aumento del prezzo dei terreni fabbricabili”. Ma questo, a ben vedere, risolve solo in parte il problema.
“Questo aumento – osservano ancora – genera problemi di disuguaglianza: rende più difficile acquistare un’abitazione per chi non ne possiede, come per esempio i giovani”, anche se “l’elevata diffusione del possesso di abitazioni in Italia ridimensiona i rischi di insostenibilità delle tensioni sociali evocati dalla crescita del rapporto tra ricchezza e reddito”. Il che è ragionevole, ma parziale. Basta considerare che circa il 30% dei cittadini italiani non è proprietario di casa. E poi il fatto che oggi mantenere il mattone ha un costo assai più elevato di quanto non fosse fino a un ventennio addietro. E se i redditi sono incagliati, si può dedurne che c’è il rischio reale che molto di questo patrimonio venga messo sul mercato per generare liquidità, abbassando i prezzi e quindi la ricchezza complessiva.
Siamo legati a doppio filo al mattone, ma non è chiaro quanto ancora ce lo possiamo permettere. Dovremmo ricordarcelo.
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