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Salvabanche, perché è meglio il bail-in del bail-out (con un occhio a Churchill)
Il salvataggio delle quattro piccole banche italiane – Cariferrara, Carichieti, Banca Etruria e Banca Marche – ha posto all’attenzione dell’opinione pubblica la valenza dell’entrata in vigore il prossimo 1° gennaio 2016 della Direttiva EU – approvata dal Parlamento italiano – sulla risoluzione delle crisi bancarie (direttiva BRRD, Bank Recovery and Resolution Directive).
Quando il risparmiatore viene “colpito”, il livello di attenzione sale vorticosamente. Ne sono la prova le attenzioni dei talk-show dedicate al bail-in, che spesso, vista la qualità dei contenuti, confondono le idee.
Nel caso di Banca Etruria – documentato da Econopoly – la manovra di salvataggio ha comportato l’azzeramento di valore di alcune emissioni subordinate, sottoscritte da numerosi piccoli risparmiatori, per lo più inconsapevoli che il rimborso delle obbligazioni subordinate, in caso di liquidazione della banca, va in secondo piano, e dipende dall’adempimento delle altre obbligazioni della banca. I bond subordinati, a livello di rischio, si trovano solo prima delle azioni, l’asset più rischioso in assoluto.
Si sono levate proteste da parte dei detentori dei bond subordinati, anche se, l’assenza completa di diversificazione e l’interesse ben più elevato rispetto ai titoli di Stato sono fatti non discutibili.
Alcuni hanno deprecato il fatto che fossero “risparmi di una vita”. Beh, proprio perché sono frutto di una vita di lavoro, l’attenzione deve essere massima. Bisogna studiare, approfondire, scavare (Carlo Azeglio Ciampi, cit.), non investire a capocchia. Ha senso investire tutti i propri risparmi in una singola emissione subordinata, anche se me la consiglia il direttore di banca? Segue un no, grosso come una casa.
Ad ogni modo, la direttiva ha l’obiettivo di tutelare il contribuente, che durante la crisi finanziaria, è stato costretto a intervenire, nel senso che lo Stato, con le risorse fornite dai contribuenti, ha prestato risorse agli istituti di credito (ciò è avvenuto molto in America e in Europa, ben poco in Italia, tranne pochi casi).
Abbiamo quindi assistito al passaggio dal bail-out – salvataggio a carico dello Stato e del contribuente – al bail-in – salvataggio a carico degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati. Dal 1° gennaio in poi, è previsto il coinvolgimento anche degli obbligazionisti senior e dei depositanti (sopra i 100 mila euro per singola banca; fino a 100 mila euro c’è la tutela del Fondo interbancario di Garanzia dei Depositi).
A questo punto è opportuno fare una digressione storica e tornare al 1940, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Nel settembre 1940 la Luftwaffe, su richiesta di Hitler, intensificò i bombardamenti, anche notturni, sulle città inglesi (Coventry, Birmingham, Liverpool, Plymouth, Bristol, eccetera) e specialmente Londra.
Il volgere dell’attenzione verso le città anziché i campi d’aviazione permise ai caccia inglesi di rafforzarsi e respingere una volta per tutte la Luftwaffe: dal 7 al 15 settembre 1940 i tedeschi persero ben 175 velivoli. A Hitler non rimase che rinviare la tanto attesa operazione Seelöwe, anche se gli attacchi contro Londra e i porti della Manica continuarono fino al 1941 inoltrato. La battaglia d’Inghilterra fu la prima grande battuta d’arresto per le forze armate tedesche, con la Luftwaffe che perse un totale di 1789 velivoli dei quali 1385 in combattimento.
Il primo ministro inglese Winston Churchill ringraziò pubblicamente i piloti della Royal Air Force (RAF), eroici durante la Battaglia d’Inghilterra: “Mai così tanti uomini (popolo inglese, ndr) dovettero così tanto a cosi pochi uomini (i piloti della RAF)”.
Mervyn King nel 2009 – da Governatore della Banca d’Inghilterra – parafrasò Churchill e disse che “Mai nel campo dell’impresa finanziaria, così poche persone (i banchieri, ndr) hanno dovuto così tanto denaro a così tante persone (i contribuenti, ndr)” [tratto da “L’equivoco del too big to fail”, Il Sole 24 Ore, 22.10.09].
I banchieri, se incapaci o irresponsabili nella condotta di gestione, non devono far pagare i danni ai contribuenti. Sono gli azionisti a dover intervenire, ben prima del dissesto e della nomina del commissario liquidatore. Dove erano gli azionisti, per lo più fondazioni bancarie, quando gli amministratori delegati prestavano vagonate di milioni di euro ad amici e amici degli amici, senza alcuna garanzia e senza alcuna seria valutazione di merito di credito?
Come ha scritto Alessandro Penati, “gli azionisti delle banche dissestate protestano perché hanno perso tutto. Ma hanno nominato i vertici che hanno distrutto le banche, e i consiglieri che avrebbero dovuto vigilare. Fare il socio non significa solo poltrone e potere, ma responsabilità e rischi”.
Twitter @beniapiccone