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Dal default “argentino” di Firenze un’idea meravigliosa: i perpetual bond
«Lucha vi vendo e Pisa vi dono». Con queste parole Mastino della Scala sancì la vendita della città di Lucca al Comune di Firenze il 4 agosto 1341 per una somma di 180 mila fiorini d’oro. Ma se la guarnigione della città di Lucca passò ai fiorentini, il suo contado era presidiato da ingenti forze pisane e Firenze si dovette impegnare in una lunga, e dispendiosa, guerra per riuscire a prendere possesso dei territori acquistati.
Queste vicende sono un’ottima esemplificazione dell’evoluzione della città comunale medievale da “città stato” a “signoria territoriale” e servono per farci comprendere come nella Firenze del 1340 si sviluppò, assieme alla grande crisi bancaria di cui abbiamo parlato nel precedente post, anche una profonda crisi di finanza pubblica che, come vedremo, sarà epocale per le sue conseguenze.
Il “debito pubblico” fiorentino era infatti, nei primi anni del 1300, di appena 50 mila fiorini d’oro e per finanziarlo bastavano “rudimentali” strumenti come i prestiti forzosi ed i mutui volontari a breve termine: i primi erano rivolti a categorie economiche che, soggette a imposizioni dirette come gabelle o dazi, anticipavano parte di quelle imposte avendole poi scontate via via nel tempo; i secondi erano prestiti ad interesse a scadenza molto breve che servivano a ripianare improvvisi e temporanei deficit nelle casse del Comune.
Il problema sorse con la trasformazione del Comune fiorentino in vero e proprio stato territoriale con il conseguente, come abbiamo visto, aggravio di spese, soprattutto militari, in quanto per soddisfare le esigenze belliche non bastarono più le milizie volontarie cittadine ma si dovette ricorrere alle compagnie di ventura mercenarie.
Il deficit lievitò ben presto fino ad arrivare nel 1343 a 600 mila fiorini d’oro, una somma ingestibile con gli strumenti finanziari pubblici del tempo. Non si potè nemmeno chiedere l’aiuto, fino ad allora prontamente fornito, delle banche private che erano in quel momento, come detto, in profonda crisi. Di conseguenza nel 1345 il Comune si dichiarò incapace di rimborsare quel debito: un vero e proprio default pubblico come quello dell’Argentina dei nostri tempi.
“Non est ad presens possibile restituere predictis creditoribus ea que recipere debent” (non è al momento presente possibile restituire ai predetti creditori quanto essi devono ricevere)(1)
La dichiarazione di insolvenza si abbatté su una città già in crisi finanziaria e creò un’ulteriore ondata deflattiva. La banca Peruzzi era già fallita nel 1343, altre piccole banche nel 1341, la moneta contante scarseggiava perché già allora il sistema bancario creava massa monetaria. Le conseguenze furono fortissime, specie sui prezzi degli immobili, che si dimezzarono in città ed arrivarono a meno di un terzo nel contado:
“E nota che per li detti fallimenti delle compagnie mancarono i danari contanti in Firenze, ch’apena se ne trovavano. Elle posessioni in città calarono a volerle vendere le due derrate per uno danaio, e in contado il terzo meno a valuta, e più calaro”(2)
Per ovviare almeno parzialmente alla carenza di liquidità le autorità fiorentine ebbero un’idea. Già a Genova e Venezia il debito pubblico era stato “consolidato”(3), cioè invece che una miriade di prestiti, slegati fra loro e garantiti ognuno da un tributo o da un’entrata pubblica diversa, altri da nessuno, e gestiti pure da uffici comunali diversi, il tutto era stato accorpato in testa ad una tesoreria unica.
A Firenze fu istituito quindi il Monte, affidandogli tutti i debiti emessi dal Comune e rilasciando a loro fronte dei certificati irredimibili al 5% di interesse annuo(4).
Ma la vera innovazione fu che, al contrario dei prestiti che andavano a sostituire, questi certificati (obbligazioni conosciute anche come perpetual bond, che prevedono solo il pagamento degli interessi, ma l’emittente può decidere unilateralmente il rimborso) erano trasferibili. Nasceva così uno dei primi mercati per lo scambio di titoli di Stato della storia economica.
L’esordio non fu dei più esaltanti: il basso tasso di interesse (per l’epoca) e l’irredimibilità causarono subito a questi certificati notevoli perdite rispetto al valore nominale: alla fine si scambiavano per 25-30 su 100 di nominale, con una conseguente distruzione di ricchezza finanziaria, visto che anche i più modesti tra i cittadini fiorentini avevano investito qualche risparmio nel Comune.
Però fu anche il punto di svolta verso la costruzione di uno stato moderno e di un mercato finanziario capitalistico. Con tutti i pro e i contro che ciò ha comportato per l’umanità.
Twitter @AleGuerani
2 – continua
(1) Carlo M. Cipolla “Il Governo della Moneta a Firenze e a Milano nei Secoli XIV-XVI” pag.15
(2) Giovanni Villani “Nuova Cronica” Libro dodicesimo, CXXXVIII
(3) Maria Ginatempo “Il finanziamento del deficit pubblico nelle città dell’Italia centrosettentrionale”
(4) Giovanni Ciappelli “Aspetti della politica fiscale fiorentina fra Tre e Quattrocento”