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Cambi e prezzi, chi fa più male al risparmio: i trader o il Qe?
La vicenda sui tassi di cambio cui sono state protagoniste Citigroup, JP Morgan, Barclays, RBS, UBS e Bank of America è certamente una brutta storia, ma serve più come trama per un film (“The Wolf of the Cartel”) che per filosofeggiare su etica, finanza ed amenità regolatorie come fa la stampa italiana.
Il tema è stato affrontato più ragionevolmente, ad esempio, sul Financial Times lo scorso 20 maggio: la “manipolazione” sui cambi era costituita dalla “applicazione di ‘forti mark-up’ ai prezzi senza che i clienti ne fossero a conoscenza”; le banche – in specie Barclays – hanno “rivelato alla concorrenza informazioni riservate dei clienti, mancato di adempiere ai limiti definiti per gli ordini dei clienti quando era possibile, e perfino fatto scattare a proprio vantaggio le stop-loss sulle posizioni dei clienti”.
In parte la truffa ha semplicemente i tratti del pessimo servizio: la collusione fra trader per chiudere i deal a prezzi comprensivi di costi occulti per i clienti (mark-up) è in pratica assimilabile ad un lavoro “mal fatto”, ad una attività di trading senza perseguire la best execution contrattualmente garantita (come se il trader avesse chiuso al primo prezzo trovato senza verificare la presenza di migliori). Certamente spaventa un mercato valutario così pervasivo e dall’operatività abbastanza concentrata in pochi soggetti (i Top 5 intermediano più di metà del mercato, dai dati Greenwich Associates 2014), dove un “manipolo” di trader può colludere per spostare “a piacere” il cambio euro-dollaro; da qui le forti reazioni.
Ma, benché non neutrali, le “manipolazioni” (rectius: creste sui prezzi) occorse sono deviazioni marginali da un percorso dei tassi di cambio guidato da più operatori e fattori fondamentali; è un mercato molto veloce, dove deviazioni sistematiche dai valori (all’incirca) corretti non sono sostenibili. La faccenda deve rimanere quel che è: una truffa a danno di alcuni clienti con spartizione del surplus, come sempre in qualsiasi “cartello” (roba da “rubagalline”, ha commentato un broker di mia conoscenza).
Detto questo, non è certamente tollerabile né la truffa ai singoli, né l’invalidazione pur limitata e temporanea del meccanismo concorrenziale (che gira anzitutto sulla correttezza delle informazioni e della loro sintesi nei prezzi). Le multe alle banche, comunque, riguardano non per le truffe in sé bensì la carenza dei controlli interni volti a evitarle (le banche poi ci mettono una pezza licenziando i trader). Ma le truffe esistono in ogni ambito del mercato.
Non fanno lo stesso scalpore le ripetute truffe ai danni di banche ed istituti parabancari, o semplici truffe ai danni dei consumatori, benché queste allo stesso modo implichino – anche – perturbazioni nei sistemi di formazione dei prezzi (sia il costo dei prestiti, che dei beni acquistati magari con tali prestiti), ma qualitativamente la questione è molto simile.
Dopo aver, in parte, ridimensionato il quadro, appare esagerato aggrapparvisi per questionare la validità del “modello capitalistico” sottostante. Il modello resta il più funzionale per l’emersione di prezzi che incorporino al meglio le informazioni disponibili. La sanzione dei comportamenti illeciti (lesivi dei rapporti contrattuali) è semplicemente parte dei meccanismi di correzione del sistema, necessari proprio in conseguenza delle manchevolezze della natura umana che emergono in qualsiasi contesto.
Parlando di sanzioni, i 5,6 miliardi di euro in multe possono sembrare “poco”, ben assorbiti dai proventi normali (e illeciti). In realtà quelle multe eserciteranno per alcuni anni un peso sul capitale di Vigilanza delle banche, rappresentando un picco di perdita che i modelli di calcolo dovranno includere nella stima del rischio operativo. Si tratta inoltre di dati che attraverso il consorzio ORX alimenteranno i modelli di stima del rischio di tutte le banche nel mondo, quindi in qualche misura tutto il mondo bancario ne risentirà.
Ma non credo che si sarebbe dovuto arrivare a sanzioni che compromettessero l’attività degli istituti. Le proposte di “ostracismo finanziario”, ad esempio, sono delle grossolane esagerazioni. A parte il problema pratico del far girare da un giorno all’altro certi mercati senza il concorso dei player più grandi e strutturati (una versione del famoso too big too fail), si dovrebbe considerare il semplice fattore reputazionale: la clientela, potendo rivolgersi a chi si dimostra più meritevole di fiducia, opera in modo naturale il proprio “ostracismo”… quando ne ravvisi l’opportunità, quindi dopo aver pesato sicurezze e rischi della scelta.
E non sembra, almeno per ora, che le “tosature” sui cambi abbiano creato una gran fuga dagli istituti: questo si può leggere come segno dell’effettiva portata delle “manipolazioni”, oppure dell’assenza di controparti alternative (il secondo problema, però, dovrebbe far riflettere Antitrust e in generale i Regolatori sulle barriere all’entrata che magari loro stessi hanno eretto).
È sicuramente deplorevole chi sul mercato opera falsificando i suoi strumenti-segnali fondamentali, cioè i prezzi. La pianificazione degli operatori si fonda su prezzi veritieri rispetto alle condizioni dei mercati ed alle prospettive degli operatori. Un tasso di cambio “massaggiato” è un segnale distorto (truffa, appunto) che può portare pervasive distorsioni a catena, è un falso verso l’economia e da qui verso la vita della società.
Per stimolare un po’ di polemica, suggerisco allora di riflettere su ben altre manipolazioni, quali la fissazione per mera volontà politica di un “prezzo” fondamentale come il tasso Refi della BCE, oppure gli interventi pesanti su titoli e curva dei tassi (oggi sotto la sigla QE).
Si tratta sempre di distorsioni volontarie cambiando solo la scala (maggiore), l’attore (agente burocratico), e le buone intenzioni di fondo (forse; in fondo anche le truffe sono fatte a fin di bene… dei truffatori). Chi ha veramente guidato d’imperio il tasso di cambio euro-dollaro con effetti pervasivi sull’economia mondiale? Quanto è sinceramente “di mercato” questo contesto? E se è vero che la truffa dei trader è da condannare per il danno diretto ai clienti, cosa dire riguardo ai risparmi il cui ritorno è andato annichilendosi per mera volontà politica di pochi burocrati?
Quindi giusta la persecuzione dei truffatori, ma piano con la critica al sistema attuale che non garantisce la cristallinità dei prezzi, perché oltre alle pagliuzze abbiamo intere travi marce.
Twitter @LBaggiani