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Expo, Sindone, Mondiali: i progetti-vetrina e il paradosso del “fa bene al Paese”
Una politica pubblica è una scelta collettiva concernente l’impiego di risorse appartenenti alla collettività. È il risultato di un’aggregazione di preferenze, e in ciò è implicito che non tutte le preferenze vengano soddisfatte: potrò non andare a visitare la Sindone o l’Expo, ma parte delle mie tasse contribuiranno comunque alla realizzazione di questi eventi. Il calcolo costi-benefici, che è decentralizzato nel mercato al livello del singolo consumatore – il quale decide per sé se un cellulare nuovo vale più del suo prezzo – nelle scelte collettive viene sostituito da un processo politico centralizzato.
Ed è qui che si insidiano le fallacie economiche: nel caso dei progetti-vetrina, uno degli errori più frequenti è il paradosso del “fa bene all’Italia”: aumenterà il turismo, aumenterà la visibilità. Questi sono certamente benefici, e sicuramente maggiore turismo comporta un maggiore Pil. Ma è anche l’apoteosi della fallacia collettivista nel ragionamento economico.
Spesso, ex-post i ricavi non coprono i costi, e questi progetti vetrina finiscono per lasciare carcasse di opere pubbliche nel deserto, o nella foresta amazzonica, come nel caso degli ultimi mondiali di calcio in Brasile. Ma anche nel caso queste operazioni fossero a somma positiva, ed effettivamente riuscissero a moltiplicare il risultato di questi investimenti in maggiori introiti, ciò non è sufficiente per dire che questo “fa bene al Paese”. Fa bene semmai ad una parte del Paese: esse avvantaggeranno alcuni italiani, nella fattispecie gli albergatori e l’indotto delle città ospitanti. Maggiori consumi e guadagni andranno a contribuire alla crescita del Pil, ma in che senso questo aiuta un Paese?
In economia ha senso di parlare di nazioni solo come blocchi di istituzioni, ovvero norme e regole che incentivano i comportamenti delle persone. Un inside joke fra gli economisti vuole che nessun appartenente alla categoria, passando davanti a una banconota da cento dollari sul marciapiede, si chini a raccoglierla. Perché se fosse vera, nessuno l’avrebbe lasciata lì. Questo tipo di razionalità rappresenta la cosiddetta efficient markets hypothesis, ovvero l’idea che in qualsiasi momento tutti cerchino di utilizzare le risorse al massimo. Ma le differenze di crescita e di utilizzo delle risorse fra i vari paesi ci dimostrano che così non è.
In una famosa lezione per l’American Economic Association, Big bills left on the sidewalk, Mancur Olson parte da questa metafora per spiegare perché alcuni Paesi crescono ed altri no: le persone sono creative e cercano di migliorare la propria vita ovunque, ma le frontiere nazionali segnano i confini entro cui operano diverse istituzioni. Buone istituzioni legano la creatività, l’impegno, la capacità di soddisfare i consumatori a ricchezza e crescita. Cattive istituzioni spingono gli attori economici a perseguire il proprio benessere attraverso attività di rent seeking, o a non perseguirlo affatto.
L’unico modo in cui ha senso quindi parlare di “far bene al Paese”, inteso come far bene a tutti i cittadini di un Paese e non solo a un gruppo specifico che beneficia direttamente di una politica pubblica che attira su di sé maggiori spese e investimenti, è quando una politica pubblica cambia il sistema di incentivi, rende più facile mettere la creatività al servizio dei consumatori, o investire perché questo avvenga meglio in futuro. In caso contrario, anche quando c’è un aumento dei consumi, la crescita del Pil riflette solo uno spostamento di risorse, ma non una crescita sostenibile nel tempo, ovvero maggiori opportunità per tutti di concorrere ad una crescita economicamente sostenibile.
Il che non vuol dire necessariamente che tutti i progetti-vetrina non superino l’analisi costi-benefici: è possibile che attivino meccanismi di investimento, di scambi internazionali efficienti nel lungo periodo. Vuol dire solo che dobbiamo valutarne collettivamente la sostenibilità al di là del loro essere vetrina, altrimenti finiremo per allocare risorse scarse in politiche pubbliche che beneficiano solo una parte ristretta della popolazione, che vedrà accresciuta la sua ricchezza, senza che questo si traduca in crescita per tutti.
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